giovedì 31 dicembre 2015

Addio 2015

Eccoci alla fine di un altro anno, l'ennesimo che si conclude. Sono accadute un sacco di cose in questo anno, per alcune mi sembra impossibile siano trascorsi meno di 365 giorni; sembrano molto più lontane, molto più distanti, a volte mi sembra non siano nemmeno mai successe, che non facciano parte della mia vita, di non averle vissute sulla mia pelle ma solo nella mia mente. Dopo mesi passati quasi da reclusa in casa, sono riuscita a rimettere piede sulla strada, a scrollarmi qualche paura dalle spalle, ho iniziato varie forme di volontariato, per aiutare gli altri e me stessa, ho incontrato un ragazzo e mi ci sono messa assieme, per poi lasciarci, ho incontrato persone nuove e ho concluso i rapporti con altre.
Cose che di tutti i giorni insomma, che fanno parte della vita quotidiana di ognuno di noi. Alcune avrei voluto non avessero mai luogo: mi sono fatta prendere per il culo ripetutamente, da più persone, e non ho voluto ammetterlo; mi sono fatta condizionare dalle idee che qualcun altro aveva su come dovrei o sarei dovuta essere, a momenti mi facevo cambiare nella mia natura, neanche avessi subito un lavaggio del cervello; mi sono lasciata ferire ed insultare per debolezza e stupidità; ho subito  quello che non mi piaceva o mi repelleva e ascoltato parole affilate come lame travestite da carezze solo perché non volevo accettare di avere sbagliato giudizio, di essermi illusa. Per tempo mi sono immaginata di poter cancellare, dopo assermene fatta una ragione, i miei errori,  di poter depennare giornate dal calendario, di poter rimuovere luoghi ove si sono svolte,  bruciare fotografie e far finta non sia mai successo nulla. Ho giocato a fare l'idiota, tuttavia ho dovuto capitolare davanti l'evidenza: depennare un giorno dal calendario dell'anno prossimo, non vuol dire che non sia esistito lo stesso numero gli anni precedenti, rimuovere un luogo non rimuove quello che là è stato creato e bruciare fotografie non comporta la distruzione dei momenti trascorsi con una persone né tantomeno la sua cancellazione dalla faccia della terra (purtroppo). Ho dovuto accettare questi fatti, di cui già ero consapevole, e lasciarmi tutto alle spalle. Non si può cancellare il passato ed è comunque una lezione di vita, che insegna (o dovrebbe) a non ripetere i propri errori e ci spinge ad essere quelli che siamo: esseri in continuo mutamento, cambiati dalle situazioni che viviamo e dalle avversità che attraversiamo.
Per cui saluto questo 2015 con un sorriso sulle labbra e un bel dito medio. Voi che mi avete deriso e circuita andate pure a cagare, senza rimpianti.
Buon Capodanno a tutti.

mercoledì 9 dicembre 2015

Kurofay fanfic - dolce notte

Per chi non lo sapesse, una fanfiction è una storia i cui personaggi, e talvolta anche l'ambientazione, sono tratti da altre opere originali, che possono essere manga e anime. Quindi i personaggi non appartengono a me, ma, in questo caso, a CLAMP, un gruppo di signore che si diverte a far soffrire i loro personaggi e anche i lettori. Il manga da cui sono tratti è TSUBASA RESERVOIR CHRONICLE, la cui trama è confusa per le autrici stesse, figuratevi per me, e amo la coppia Fay-Kurogane... sono diventata una fan del genere yaoi proprio fantasticando su di loro, loro che non hanno nemmeno una relazione nella storia originale, ma solo nella fantasia di tutti i fan T.T
in poche parole: Kurogane è un ninja dal triste passato, Fay è un mago dal triste passato, Shaoran è il figlio del proprio clone dal triste passato e Mokona è una palla di pelo somigliante ad un coniglio che permette loro di viaggiare di dimensione in dimensione (lei non ha un triste passato). Ognuno ha fatto dei sacrifici per arrivare dove voleva arrivare e per la salvezza degli altri. Diciamo che Fay ad un certo punto si è trovato in punto di morte e Kurogane, per salvarlo, l'ha trasformato in un vampiro che può bere sangue solo da lui. Successivamente, per portare Fay fuori da una dimensione che si stava "sigillando", Kurogane si è anche tagliato un braccio, rischiando di morire. E tutto questo ve lo racconto solo per farvi capire alcuni punti della fanfic. 

Avevano da poco lasciato un caldo sole primaverile per piombare in una dimensione in pieno inverno. Davanti le loro labbra si formavano delle nuvolette mentre discutevano su cosa fosse meglio fare, piccoli fiocchi di neve cadevano, fitti, dal cielo. Era tutto bianco, era tutto freddo.
Trovarono alloggio in una piccola casetta dalle poche stanze: un soggiorno con un caminetto e il ripiano cucina, un bagno e una camera da letto provvista di due letti. Fay aveva preparato la cena con quel poco che c'era e ora stavano mangiando tutti assieme, Kurogane era intento a fissare Fay quando, con la coda dell'occhio, vide una forchetta furtiva farsi largo nel suo piatto
« Polpettina, ti consiglio di non mangiare dal mio piatto… A MENO CHE TU NON VOGLIA MORIRE »
«waaah! Fay-mammina, Kuro-papi vuole farmi a pezzetti! »
Fay, che era perso nei suoi pensieri, venne richiamato alla realtà all’improvviso scoppio di grida « suvvia Kuro-sama, so che quello che cucino con le mie manine è prezioso per te, però ce n’è ancora, non te la prendere con Moko-chan, i bambini prima di tutto, poi i genitori »
« ehi voi due » disse il ninja con sguardo sinistro mentre prendeva la sua katana « il mio nome è KUROGANE! » e iniziò a correre loro dietro che si erano già messi in fuga al primo movimento del suo braccio. Furono riportati all’ordine da Shaoran che chiese  « come ci sistemiamo per la notte? »
L’unica luogo caldo di quella casa era la sala in cui erano in quel momento, per cui Kurogane l’avrebbe tranquillamente lasciata al ragazzo. Evidentemente Fay non doveva aver fatto un ragionamento diverso dal suo in quanto rispose « Tu e Moko-chan dormirete qui, mentre io e Kuro-pio dormiremo nell’altra stanza »
« ma… »
« niente ma » lo interruppe « alla nostra età abbiamo bisogno di dormire comodi, e poi io e Kuro-papino dobbiamo ritrovare la nostra intimità perduta. Vero Kuro-tan? »
Normalmente lo avrebbe mandato al diavolo, lo avrebbe rincorso nella speranza di afferrarlo e poterlo, finalmente, soffocare, ma non questa volta. Era preoccupato per lui, non gli era sfuggito il suo smarrimento a tavola: il mago era migliorato dal loro primo incontro, sorrideva più spesso, mostrava i suoi veri sentimenti, tuttavia ora erano in un luogo che gli ricordava il suo paese natio e quello in cui aveva trascorso la sua adolescenza, per quanto potesse essere riuscito a riconciliarsi col suo passato, era impossibile non ci pensasse. Per cui si limitò ad un « uhm» di assenso.
La sua reazione, o meglio, la sua mancanza di reazione, lasciò tutti a bocca aperta e ben presto la situazione degenerò:
« Kuro-papi ama Fay-mammina, Kuro-papi ama Fay-mamminaaaaa »
« Kuro-rin, finalmente contraccambi i miei sentimenti e hai deciso di dichiararti apertamente. Io che ti ho sempre amato di nascosto, non ho mai pensato, nemmeno sognato, che un tale giorno potesse giungere. Il mio cuore scoppia di felicità! » diceva il mago dopo essersi gettato a terra, lacrime di coccodrillo che gli riempivano gli occhi mentre con un fazzoletto si soffiava il naso.
Okay, la situazione gli stava sfuggendo di mano. Gli era preso un tic all’occhio sinistro e le vene del collo pulsavano impazzite, le mani gli prudevano dalla voglia di sguainare la sua katana per massacrarli. Doveva uscire, prima di dare il via ad una carneficina. Ora. Assolutamente. Sputò dalle labbra strette “ maledetti, un giorno vi ucciderò” e si fiondò fuori di casa sbattendo la porta.
« oh, Kuro-papino si è molto arrabbiato »
« uh uh » si limitò a rispondere Fay sparecchiando, il sorriso che spariva dalle sue labbra. Forse abbiamo esagerato…

Kurogane stava praticamente correndo, era infuriato e cercava di placarsi scaricando tutta la rabbia nei suoi passi, sul suolo. Aveva bisogno di bere del sakè e, qualora non ne avesse trovato, qualsiasi tipo di alcool sarebbe andato bene, bastava si trattasse di qualcosa di forte, tanto da bruciargli la gola e fu con questo spirito che varcò la soglia di una taverna e, nel modo più sgarbato possibile, ordinò da bere. Ne uscì solo un paio di ore più tardi, ancora sobrio, ma almeno si era calmato, un po’.
A casa le luci erano spente. Deve essere più tardi di quel che pensavo. Entrò silenziosamente in modo da non svegliare Shaoran e la polpetta e arrivò in camera, dove trovò Fay a letto che dormiva. Cominciò a spogliarsi, e quando fu pronto per infilarsi nel letto, sentì dei versi provenire da dove il mago dormiva. Alla fine veramente non sta bene come voleva far credere. Si avvicinò all’altro e vide che aveva i pugni serrati sulla coperta, il viso contratto in un’espressione di sofferenza e i brividi che lo scuotevano tutto. Gli si stringeva il cuore ogni volta che lo vedeva così, evidentemente i suoi incubi erano tornati a fargli visita. Si sedette sul bordo del letto, portò la mano destra al suo volto per spostargli una ciocca di capelli in modo da poterlo osservare meglio. Era bello. Kurogane era abbastanza onesto da ammettere che il mago era bello, e questo lo rendeva incapace di non guardarlo. E in quel momento vedeva che stava soffrendo e non poteva fare nulla per aiutarlo. Frustrato mise la propria mano sopra una delle sue e la sentì fredda, gelida; le dita ancora stringevano con forza la coperta. Si chinò su di lui
« Yui… » sussurrò. Fay istantaneamente allentò la presa della mano sulla quale era poggiata quella del ninja, e anche la faccia si distese un poco, restavano solo i brividi.
Maledizione! Non ci sono altre coperte in questa catapecchia! Pensò nervoso. Cosa poteva fare? L’unica soluzione era… No! Nononono! NO! Sì invece… fallo…  No! Non poteva realmente entrare nel suo letto, con lui! Sì che puoi. Puoi e vuoi farlo… avanti, fallo per lui. La vocina nella sua testa insisteva, non voleva saperne di stare zitta. Beh finì col capitolare, in effetti fa molto freddo. Così stacco delicatamente le mani di Fay dalla coperta e altrettanto delicatamente la sollevò, in modo da potercisi infilare sotto anche lui. Quando entrò in contatto col corpo del compagno lo sentì ghiacciato, allora, senza esitazioni, ormai le aveva tutte messe in un angolo remoto della sua testa, fu attento ad avvicinarlo al proprio corpo col braccio destro, quello buono, e se lo mise aderente contro di sé, la schiena fredda contro il suo petto caldo. Il mago si rilassò immediatamente, smettendo di tremare e, con sua grande sorpresa, anche lui si sentì più tranquillo. Sperava solo che, il giorno dopo, non se la prendesse con lui considerandola un’invasione dei propri spazi; ricordava ancora quella in cui, per salvargli la vita, lo aveva costretto a diventare un mostro e a dipendere da lui per la sopravvivenza, era stata l’unica volta che lui lo aveva chiamato “Kurogane”, per ferirlo, per fargli capire che tra loro, da quel momento, ci sarebbe stata della distanza, che nulla sarebbe stato come prima. E lo aveva ferito come neanche avrebbe potuto mai immaginare o sospettare. E aveva paura adesso, paura che lo rifiutasse nuovamente, che di nuovo erigesse una parete tra loro due, un muro che non sarebbe riuscito a buttare giù. Non voleva essere trattato freddamente ancora, alla sola idea fu percorso da un brivido che lo spinse istintivamente a stringere più forte Fay e quest’ultimo diede segno di svegliarsi, disturbato dai troppi movimenti. Mentre si girava e stiracchiava, Kurogane chiuse gli occhi facendo finta di dormire, il cuore che gli batteva all’impazzata nel petto, il terrore che gli attanagliava la gola: non voleva vedere la sua reazione e sperava sarebbe stata almeno attenuata, se il mago avesse creduto lui stesse dormendo. Avvertì che l’altro tratteneva il respiro per qualche secondo scoprendo di essere tra le sue braccia e attese la sprangata tra i denti, che però tardava ad arrivare. Alla fine Fay rilasciò tutta l’aria che stava trattenendo inconsciamente e si sistemò meglio: si rannicchiò tutto contro di lui, poggiò le mani sui suoi caldi pettorali e, dopo avergli dato un bacio sulla spalla sinistra, vi poggiò anche la testa.
« Grazie, You-ou » bisbigliò dolcemente mentre il sonno prendeva il sopravvento
« sogni d’oro idiota » rispose, posandogli un bacio tra i capelli dorati.

martedì 8 dicembre 2015

Ignora.

Mi è capitato di leggere un post questa sera: ovviamente l'ho commentato, a volte non posso proprio asternermi dal redigere perle di scemenza. Infatti sono qua. Coerente  al mio essere. ahah
Di che cosa parla il post? Si trattava di un'immagine in cui c'erano, più o meno, le seguenti parole:

In questo momento il te stesso di 10 anni fa sta leggendo, 
se potessi comunicare con lui avendo a disposizione una sola parola
che cosa gli diresti?

Ci ho pensato, per più di qualche minuto, non mi veniva in mente nessuna parola che esprimesse, in se stessa, tutto quello che provo e dal quale vorrei mettermi in guardia, poi invece ero indecisa tra due parole: DIMENTICA o IGNORA. Dal titolo del post, avrete ormai capito quale delle due io abbia scelto, ma perché avevo questo dubbio?
Bisogna dire che io ho una memoria strana e pesante, ed è questa che anche mi rende la persona che sono. Sono una persona rancorosa, posso fare finta non mi sia stata fatta una determinata cosa, ma non la perdonerò mai veramente, e MAI la dimenticherò. Sarà sempre in qualche recesso della mia mente, silenziosa, ma pronta a tornare alla prima occasione, in agguato, in attesa di essere risvegliata da un nuovo atto, che io reputo ingiusto, compiuto nei miei confronti. Per questo mi allontano dalle persone che ritengo si siano comportate male nei miei confronti, perché non posso perdonare né lasciar correre. E non fatemi il solito discorso stupido: "non è giusto vivere così, verso te stessa e verso gli altri. È brutto, rimarrai sola. Se lo dico è solo perché sono preoccupato per te! ". Fichez moi la paix, je vous en prie, et allez vous faire foutre. Non sono cazzi vostri come vivo e non siete costretti a conviverci. Ma parlerò di questo in un secondo momento, non temete.
Tornando a noi, non è che io non dimentichi niente, ben lungi da questo! È solo che ricordo le cose piú assurde e assolutamente tutti i torti. Alcuni ricordi poi, belli, fanno i fantasmi e mi tormentano improvvisamente, presentandosi senza nemmeno bussare, imponendo semplicemente la loro presenza. E io mi trovo inebetita, lo sguardo perso nel vuoto, le lacrime che mi riempiono gli occhi e non oso sbattere le palpebre.
Ma io ho scelto IGNORA. Perché più che dimenticare quanto accaduto, bisogna ignorare. Ci sono cose che ti hanno fatto male e altre, in futuro, che te ne faranno; tutte le mancanze delle persone, i torti che hai subito e subirai... tutti quegli atti compiuti da altri che ti hanno fatto soffrire, che hai dovuto sopportare in silenzio, con l'anima in pezzi mentre facevi finta di nulla. Ignorali.
Ti verranno riversate addosso un sacco di parole, e la voce che le pronuncerà, le labbra da cui usciranno, apparterranno spesso all'ultima persona al mondo da cui le vorresti sentire. Ti verrano lanciate addosso come riso sugli sposi, allo scopo di colpirti, per farti male, come tutte quelle che le hanno precedute in passato. Alcune saranno sussurrate al tuo orecchio come una litania, suadenti, saranno quelle più letali, penetrarenno nel profondo del tuo essere ferendolo dove più è indifeso, ti faranno sanguinare. E infine, ci saranno quelle che avranno il solo risultato di confonderti, lasciarti amareggiato mentre ti chiedi "PERCHÉ? che senso ha?!", e non capirai l'intento col quale sono dette, ferirti o rincuorarti, affossarti o sollevarti. Non saprai se crederci, ma soprattutto se la persona che le ha prodotte crede lei stessa in esse, sembrerà convinta, ma le parole sono così contraddittorie e incoerenti che ti getterrano nel dubbio più profondo. Dal quale non vedrai uscita. Il tono, il significato stretto, il senso con il quale vengono sputate: tutto in contrasto. Una nota stonata di una sinfonia in disarmonia (?).
Perché star male? La soluzione per me rimane sempre ignorare, che tutto ti scivoli addosso senza scalfirti. Per quale ragione dovresti lasciarti investire dalle frasi cattive, crudeli, scomposte e prive di significato di qualcuno che, evidentemente, non è una persona degna della tua considerazione?
Io sono stata travolta da discorsi interi, certi violenti, altri accorati e disperati; alcune volte non ho capito perché mi si stesse facendo questo, altre volte quello che non ho capito è stato proprio dove si volesse andare a parare. Mi sono chiesta il motivo per cui, proprio in quel frangente, quelle determinate parole, mi venissero dette, cosa significassero realmente e se la persona che avevo di fronte credesse in quanto andava blaterando. Mi hanno ferita, mi sono sentita pugnalare più volte, le ho ascoltate inerme, in silenzio, incapace di replicare una qualsiasi cosa, non ero nemmeno in grado di avere una reazione per quanto fossero inaspettate, inattese, incomprese e talvolta dilanianti. Mi sono piombate addosso parole pesanti come macigni, proferite con il tono colloquiale con cui si disquisirebbe del tempo! Questo era ancora più disorientante delle parole stesse, quasi fossero proferite prive dell'ausilio della mente e senza ponderarne il valore, ma giusto per dire qualcosa. Il problema è che la gente non pensa quando apre quella cazzo di bocca, e un altro problema è che la apre per un proprio bisogno personale di riempire il silenzio. Quando il silenzio regna, si apre la boccaccia e si producono amenità, con la convizione poi di fare chissà quale esposizione attenta, intelligente e magari pure delicata. Ah!
Sono parole che pretendono di essere ascoltate, prepotenti. E le mie orecchie hanno sentito le cose più inverosimili, assurde e offensive che possano essere dette. Mi sono stati raccontati i viaggi mentali più incredibili con l'intento di farmici credere. Tavolta mi sono arrabbiata tanto da rispondere al fuoco col fuoco, altre la rabbia era a tali livelli da lasciarmi muta, lacrime di frustrazione che bruciavano i miei occhi umiliati da tale manifestazione di debolezza. Perché davanti a certe cose, veramente, non riesci ad avere una reazione per quanto sei stralunato, tempo perso a chiederti se hai visto e sentito bene.
In altri casi mi sono ritrovata sotto una pioggia di parole col groppo in gola, la faccia che minacciava di divenire una smorfia e le lacrime negli occhi pronte a sgorgare a fiotti. Ferita, da tutto, da quello che volevano dire, da quello che non capivano, del senso che non avevano. Ebbene, mi sono ritrovata a dover sorridere, cercando al contempo di mantenere fermi tutti gli altri muscoli facciali, il terrore di allentare la presa, le lacrime in bilico tra le palpebre e a lottare contro quel groppo che minacciava di storpiare la mia voce mentre tentavo di parlare, con nonchalance. E non avevo niente da rispondere. È dura, è dura. Vorresti solo scappare, all'istante, nel luogo più remoto e piangere, urlare; o prendere tutto a calci. Ma non puoi, e tutto tremante  devi ostentare indifferenza. Io non voglio fare finta di nulla, io voglio proprio non essere toccata da queste parole. Se le persone non sanno tacere, allora io non voglio più sentire. Se le persone non sanno comportarsi, io non voglio più subire e stare male. Voglio solo la capacità di ignorare, andare dritto per la mia strada senza voltarmi, senza essere fermata. Essere in grado di capire che in certi casi, per certe cose, per certe persone, non valga la pena star male e farsi coinvolgere; ma è completamente inutile se poi non riesco a fare niente per evitarlo. E per quanto me lo ripeta nella mia mente, al momento fatidico in cui devo dimostrare a me stessa che i miei pensieri non sono solo belle fantasie ma la realtà, ecco che mi ritrovo, nuovamente, con le labbra tremanti sul ciglio delle lacrime. E ancora una volta, non sono riuscita ad ignorare, e ancora una volta sono stata colpita e affondata.
Al diavolo voi e le vostre dolci parole imbottite di cianuro. Ipocriti di merda. Incoerenti del cazzo. Storditi di sta ceppa di minchia.

"Non ragioniam di lor, ma guarda e passa" come diceva Dante.

domenica 29 novembre 2015

lol

Sono arrivata al punto in cui non so più se mi faccio più ridere io o voi che mi circondate e, mentre mi vien da ridere, sopraggiunge anche la voglia di piangere... e di nuovo: chi tra le due possibilità mi induce maggiormente alle lacrime?
La stupidità non l'ho mai sopportata, mi fa venire il nervoso, salire la rabbia... per questo ora non so più dove si trovi l'ago della bilancia; se reputo e

 addito gli altri come idioti, io mi ritengo la sovrana inconstata del regno dell'imbecillità. Se mi muovessi alla cieca forse prenderei strade migliori..sebbene tuttora si possa dire io cammini a caso.
Mi sento come su un'altalena, il mio umore sale verso il cielo e l'attimo dopo piomba verso il terreno; e non riesco a saltare giù, sono legata ed imbavagliata, in balia degli eventi o, peggio ancora, di me stessa.
Mi faccio ridere perché sono stupida, mi faccio piangere perché sono cretina. E odio la gente che alimenta questa mia sensazione, trattandomi di merda, facendomi sentire una beota e spingendomi a comportarmi da mentecatta.
Andate al diavolo e lasciatemi in pace, smettetela di insegnarmi come vivere e finitela di prendermi per il culo, son stufa.

giovedì 19 novembre 2015

Alla ricerca di un sasso, perché di sabbia ne ho vista troppa

Uno dei miei problemi è che non riesco a lasciare andare le cose, non riesco a lasciar perdere, mi incaponisco. Mi aggrappo a queste cose non rendendomi conto che, la maggior parte di esse, sono meri granelli di sabbia, inafferrabili. La stretta sembra salda, ma al minimo movimento una parte se ne va, scivola via, scorre come un fiume, incontenibile. Ogni tanto fisso le mie mani e chiedo loro perché si ostinino a restare dei pugni serrati, nonostante sia evidente che i granelli fuoriescano, scappino, sfuggano dalle dita impossibili da riacciuffare.
Semplicemente non vogliono perdere quello che stanno stringendo, a prescindere da quello che è, che ne valga la pena o meno: rifuggono il senso di perdita, non vogliono sentirsi vuote. Le dita, una volta contratte, non vogliono più rilassarsi, forse anche per paura di scoprire che nel palmo non c'è nulla.
Così faccio io, trattengo le cose che ho ottenuto, che mi facciano male o che mi facciano bene, che abbiano valore o che non ne abbiano affatto. Odio l'idea di aver fallito, e ancora di più la sensazione di smarrimento e di incompletezza che mi assale quando lascio andare qualcosa. Ho il terrore di aprire la mano, di dare un taglio netto a qualcosa e poi pentirmi amaramente della mia scelta.
Sono terribilmente insicura e riflessiva, e per quanto tempo io possa spendere a pensare, sovente non arrivo a nessuna conclusione e rimango nel mio limbo, in balia degli eventi, lasciandomi trascinare dagli eventi e aspettando succeda qualcosa, qualcosa che a volte non succede e non succederà mai. Quindi si può dire io aspetti l'incerto e che per questo potrei benissimo morire di vecchiaia nell'attesa.
Sono una persona che normalmente odia il dubbio, voglio sapere, voglio tutto sia chiaro; tuttavia ogni tanto sono propensa al dubbio, all'ignoto, all'ignoranza: non voglio sapere, bensì voglio continuare a illudermi che qualcosa, un giorno, forse....
Per cui eccomi qua ora, dopo aver spremuto spremuto e spremuto, ad essere arrivata al succo della questione: continuare quello che mi piace o lasciarmi alle spalle ciò che non mi piace? Sì, sembra stupido, la soluzione dovrebbe essere : ti tieni quello che ti piace E lasci perdere quello che non ti piace. Ma io ho usato la congiunzione O, perché nel caso scegliessi di lasciar perdere quello che non mi va a genio, questo escluderebbe anche quello che invece gradisco assai, se invece optassi per quello che mi piace dovrei accettare anche il resto. Capite il dilemma?
Sono stufa della sabbia, è estenuante trattenere quello che per natura sfugge, è come voler afferrare un pesce a due mani nel torrente: è viscido, scivola, scappa e tu per le mani non hai niente. Voglio qualcosa di tangibile, voglio un dannato sasso, che posso maneggiare tranquillamente, e con cui posso andare in giro senza la paura di non trovarlo più, voglio sentire la sua presenza nel peso e percepirla al tatto. Voglio qualcosa di concreto una buona volta, qualcosa che non posso smarrire durante il mio cammino e che per natura non sia sfuggente.
Ecco cosa desidero nella mia vita, un sasso, perché di sabbia ne ho già avuta troppa. Sabbia maledetta, mi ha riempito le scarpe e le tasche, ma nelle mani non è mai rimasta.


Se anche stanotte non riesco a dormire, comincio a dare testate al frigo finché non svengo. Ora pure farnetico di sassi e sabbia, domani cosa toccherà?

martedì 17 novembre 2015

Il mondo fa paura

Ehi tu,
uomo che cammini per le strade
dove trovi il coraggio
di addentrarti nel mondo?
Come fai a lasciare la tua casa
durante il giorno
e soprattutto durante la notte,
quando le vie sono buie
quando non sai 
chi può venirti incontro,
chi può attaccarti alle spalle?
Guardi anche tu diffidente
le persone che incontrano il tuo cammino?
Ti volti mai a guardare il tuo percorso,
scrutando ogni angolo,
con la paura
di vedere qualcuno che ti segue?
Alzi mai gli occhi sulla gente,
incrociando il loro sguardo alla ricerca
di un'intenzione maligna?

E tu,
che te ne stai rinchiuso in quattro mura
tu che pensi che se ti metti un lenzuolo sul capo
sei al sicuro
che nessuno potrà farti male
nella tua casa,
chi ti dà questa certezza?
Da dove ti viene questa convinzione
che la tua casa sia un rifugio?
Non pensi 
di essere in pericolo
a casa quanto nella strada?
Non pensi che un uomo,
certamente malato,
possa far saltare un ordigno
proprio nel tuo isolato,
proprio sotto casa tua?
E allora perché non esci?
Perché ti lasci fare prigioniero
in un buco,
nella tua paura,
nella psicosi di cui tutto il mondo è
vittima?


Ormai non siamo al sicuro in nessun luogo, nessuno può garantirci la sicurezza di cui tanto abbiamo bisogno, le rassicurazione di cui necessitiamo per stare tranquilli, per vivere serene, per tirare un sospiro di sollievo.
Il mondo è impazzito, non si sa più cosa aspettarsi domani, non sappiamo nemmeno se un domani ci sarà. Siamo vittime delle circostante, esseri passivi il cui giorno successivo dipende dal capriccio di alcuni folli che ultimamente dettano legge. La nostra esistenza è sul filo del rasoio, basta un niente a farla cessare, in qualsiasi momento essa può sfuggirci tra le mani.
Viviamo nella paura, una paura instillataci dalla follia del genere umano e che non riusciamo a scrollarci di dosso, sono stati bravi quando l'hanno calata su di noi la sera del 13 novembre. Passiamo il tempo a chiederci: I prossimi chi saranno? Quando toccherà a noi?
Proprio perché così incerto il nostro futuro, dovremmo continuare la nostra vita come sempre, come un giorno qualunque di un mese qualunque, non dobbiamo lasciarci sopraffare dal terrore e rinchiuderci in una scatola. Non deve prevalere neanche l'odio, sono ALCUNE PERSONE quelle che attentano alla nostra sopravvivenza, non tutta una popolazione.
Qua non si scherza, c'è da preoccuparsi: siamo sulla soglia di una Terza Guerra Mondiale. E quello che mi fa più orrore è che questa guerra è pure acclamata da certi individui, altri pazzi.
Spero che il mondo si riprenda, che la società rinsavisca, altrimenti ci annienteremo a vicenda, e non resterà più niente e nessuno.

giovedì 12 novembre 2015

La nebbia

La nebbia ricopre da giorni la città, a volte è così fitta che non vedi 5 m di distanza, come ieri sera, ma anche stanotte non è male.
Attraversandola senti come una sensazione di bagnato sulla pelle, il viso si imperla dolcemente di acqua. Attraversandola, hai l'impressione di varcare una soglia scosciuta, oltre la quale non sai cosa trovi, cosa ti aspetta, dove finirai.
Ogni tanto sarebbe bello poter sparire nella nebbia, diventare impalpabile, una lontana memoria di cui si dubita la veridicità.

domenica 8 novembre 2015

cip cip fa l'uccellino

Sono le 3 di notte e ho già iniziato tre post diversi per poi chiuderli, insoddisfatta di quello che stavo producendo. Sono le 3 di notte e ogni tanto sento degli uccellini cinguettare: che invidia.
Vorrei essere un uccello, una rondine forse, così elegante e bella, e librarmi nel cielo, libera. Mi ricordo che anni fa avevo fatto un tema proprio sulla libertà, se non erro, e io ero finita a portare come esempio i gabbiani che volano sopra il mare; la mia prof ha stroncato la mia idilliaca immagine dicendo che i gabbiani non volano in quanto lo vogliono, bensì perché è l'unico modo che hanno per nutrirsi, la caccia, e dunque non è libero arbitrio il loro, ma mero istinto di sopravvivenza. Che mazzata ho ricevuto quel giorno, l'ho odiata.
È insito nell'uomo guardare il cielo vedendo l'infinito e sognare di avere due enormi ali sulla schiena per poterlo solcare, varcarlo. Vediamo l'azzurro, tanto tanto azzurro, e vorremmo sfiorarlo, perché è immenso, senza fine; perché sfiorare l'irraggiungibile è come essere in grado di ottenere l'impossibile. Tutto quello spazio sconfinato ci dà l'idea di poterci muovere come vogliamo, di fare quello che più desideriamo, di essere scevri da costrizioni, obblighi, doveri, leggi e altre persone. Siamo noi e solo noi, nessun altro, nient'altro.
Io però non penso solo a questa libertà, io voglio essere una rondine e spalancare le ali al massimo della loro larghezza, sollevarmi dal ramo più alto di un albero e puntare dritta al sole. Volare ad una quota tale da vedere tutto quello che sta sulla Terra come piccoli puntini indistinguibili. Vorrei osservare il mondo dall'alto, essere solo una spettatrice indifferente di tutte le cose orrende che accadono, tutte le cose che odio non mi riguarderebbero più. Vorrei prendere le distanze da tutto e tutti con un semplice battito d'ali e andarmene. Voglio scappare via da ciò che non mi piace e che non posso cambiare, quello che mi fa male, volare dove niente può raggiungermi, dove niente può toccarmi; volare ove non posso essere ferita. Se fossi una rondine, la notte volgerei lo sguardo al cielo stellato sperando un giorno di volteggiare tra le stelle luminose e mi sfiancherei nel provare a farlo.
Ma non sono una rondine e non ho le ali, sono solo un essere umano come tanti altri, con due gambe. Mi limito a sognare l'irrealizzabile e a vivere camminando per il mondo, l'azzurro ce l'ho negli occhi ed essi sono spesso rivolti verso l'alto, soprattutto nelle notti prive di nuvole, incantati dalla meraviglia che possono solo osservare da lontano.

venerdì 30 ottobre 2015

Amore Impossibile .-*-. song-fic


Mi perdo dentro ai tuoi occhi 

che sorridono, ma ora so 
Siamo qua, seduti su una panchina. E' scesa la sera da ore ed il buio è arrivato con essa; ci vediamo a stento grazie alla scarsa illuminazione stradale e talvolta siamo investiti dal bagliore dei fari delle auto che passano, sempre più rare man mano che il tempo incede. Sta piovendo, ma è una pioggia gentile, ogni goccia risulta essere una carezza sui nostri volti, quasi impercettibile, e noi restiamo fermi dove siamo, a parlare. Abbiamo parlato a lungo. Tanto a lungo che ora è calato il silenzio, l'unico rumore che si sente è quello delle ruote sull'asfalto, della pioggia che cade sulle foglie. La pioggia riempie anche i tuoi occhi, è incastonata tra le tue ciglia, ogni tanto una goccia sfugge e scivola: lungo  l'arco del naso, passando vicino l'angolo della bocca, scorrendo lungo il collo e finendo inevitabilmente assorbita dagli strati di vestiti che ti coprono. Ci guardiamo negli occhi, e io mi perdo nei tuoi che sono resi dei laghi dalle lacrime di cui sono pregni. E' uno scambio di sguardi strano il nostro, che io ricordi, non ce n'è mai stato uno simile fino ad ora. Intenso, molto intenso, ma non riesco ad interpretarlo, non so che cosa sia passato tra noi, non so se fosse la consapevolezza della fine, la delusione, la tristezza, non lo so, e mi fa impazzire, è come se avessi perso qualcosa di importante, di significativo. Mi ha fatto male. E mentre cercavo di capirne il senso, mi sono smarrito nei tuoi occhi, più azzurri che mai, più espressivi che mai, bellissimi.

E' amore impossibile quello che mi chiedi 
sentire ciò che tu sola senti 
e vedere ciò che vedi
 Chiudere la realtà, dentro la tua isola 
Ci siamo resi conto che così non può andare avanti, che non andiamo da nessuna parte di questo passo, che non funziona. Qualcosa ci attrae l'uno verso l'altra e qualcos'altro ci respinge, quasi fossimo delle calamite con entrambi i poli; è evidente che non possiamo stare assieme.
Abbiamo deciso di mollare il colpo, ho provato a continuare, ma sta diventando vano accanimento: mi chiedi e pretendi cose che non riesco a soddisfare, che non posso darti, che non voglio cedere. Ti definirei quasi egoista.
Le nostre opinioni e pensieri sono palesemente divergenti e questo è ormai un problema insormontabile, posso pensare tu abbia ragione, ma non riesco a convenire con quanto dici, non riesco ad adattarmi al tuo raziocinio che cozza incessantemente col mio. Tu vorresti io avessi la stessa tua visione delle cose, che trovo a volte aberrante, e io non posso modificare me stesso per omologarmi a te, per piacerti, non posso più. E tu sei ferma nelle tue convinzioni a cui non vuoi rinunciare. Nessuno fa più un passo verso l'altro, restiamo immobili: è ovvio che insieme non andremo più da nessuna parte, le nostre strade si dividono.
A questo punto dobbiamo farcene una ragione, accettare come stanno le cose e separarci. Per questo siamo qui, nonostante la pioggia, nonostante il freddo, le lacrime e la sofferenza. Ci stiamo per allontanare e stiamo procrastinando quel momento con le parole, con i silenzi, ma non può andare avanti così in eterno. Il tempo a nostra disposizione è ormai giunto al termine, è ora di andare.
Ti stringo forte al petto mentre ti accarezzo delicatamente i capelli, poi ti afferro per le spalle in modo da poterti allontanare da me e poso le mani sulle tue guance, avvolgendoti il viso: sento la pelle fredda sotto le dita che si stanno bagnando delle tue calde lacrime, cerco invano di asciugarle coi pollici, ma sono subito sostituite da delle nuove. Mollo il tuo volto e ti prendo le mani, di ognuna bacio il palmo e infine le mie labbra si posano sulla tua fronte, per quella che credo sia l'ultima volta. Mi viene da piangere, ma ingoio il groppo che ho nella gola, basti tu a piangere per entrambi, è dall'inizio di questo interludio che le lacrime si mescolano alla pioggia. Non vorrei lasciarti andare, non vorrei perdere il contatto fisico con te, ma devo. Sciolgo le mie mani dalle tue che ancora tenevo strette da quando le avevo baciate e mi alzo, tu mi imiti e di slancio mi abbracci; poi ti stacchi, mi guardi un attimo, sussurri un "addio" e te ne vai. Non ti volti. Io fisso la tua schiena che va via via sparendo all'orizzonte, quando non ti vedo più mi concedo di piangere, finalmente.
tempo per noi, si troverà
Chissà se un giorno, lontano, quando sarà passato tanto tempo da dimenticarci delle cose che non andavano e del fallimento, ci sarà nuovamente qualcosa tra noi.


Questa è una song-fic, ovvero una storia, un racconto, costruita attorno ad una canzone. La canzone in questione è Amore Impossibile dei Tiromancino.

martedì 27 ottobre 2015

Mani e labbra, carezze e baci

Ci sono parti in un ragazzo, in un uomo, del fisico, che mi colpiscono e devono piacermi.
Per esempio le mani: io amo le mani e non posso esimermi dal guardarle. E con questo non voglio certo dare ad intendere di avere una strana perversione che le riguardi, no! Non le considero da quel punto di vista.
Non saprei descrivere le mani che mi piacciono, le caratteristiche che devono avere... so solo che non mi piacciono certi tipi di unghie, la pelle avvizzita, dita corte e grassocce. Adoro le mani calde, non troppo callose, pelle abbastanza morbida, una mano grande, dal palmo largo, dita affusolate, e delicate. Questo perché mi piace essere toccata, accarezzata. Il tocco dev'essere soffice, leggero, ma al contempo forte. Voglio sentire tutta la dolcezza possibile tramite un gesto, protratto nel tempo, infinito.
Mi piace sentire come le dita mi scivolino lungo il viso, delineando i tratti. Una carezza, una mano posata sulla guancia. Un "patpat" sulla testa nei momenti di sconforto. Un pollice che scorra sotto l'occhio ad asciugare una lacrima, o un indice che a lato la raccolga. È così bello il contatto del proprio palmo contro quello di una persona a cui tieni, le dita intrecciate, il calore che passa da una pelle all'altra, odori che si mischiano, tracce lasciate come un marchio... purtroppo non indelebile. Sfuma presto; appena le mani si separano, appena le lavi tutto sparisce, come un colpo di spugna su una lavagna. Ma la sensazione, il piacere, quello rimane impresso nella memoria.
Parliamo poi delle labbra? Quelle devono essere ancora più delicate delle mani, devono avere il sapore del miele, la morbidezza e il tocco di una piuma. Di queste credo sia facile dire la caratteristica che apprezzo: carnose. Almeno questo evinco dalle mie esperienze passate. E calde.
Cosa c'è di più meraviglioso di un bacio? Forse solo un diluvio, una cascata di baci! Mi piacciono, tutti! Quelli teneri e impercettibili dati sul volto: sulla fronte in un momento di dolcezza, sugli occhi durante il pianto, sulle guance mentre ci si abbraccia. Anche quelli più "focosi" e appassionati dati sul collo o sulle labbra. Sono tutti belli, tutti ti danno qualcosa, ti passano un sentimento.
Poi adoro quando da un intreccio di mani si passa a baciare il palmo e un dito alla volta, fino a posare le labbra su tutte e cinque, nessuna falangetta lasciata in disparte. È dolcissimo! Quando lo vedo nei film, e soprattutto nei manga, dove si vedono questi momenti di dolcezza smisurata vignetta per vignetta, l'attimo colto così bene, i disegni bellissimi su cui posso rimanere fissa minuti, io mi sciolgo! Mi liquefaccio, a volte anche piango, come una scema.
La dolcezza mi tocca, nel profondo, arriva dritta nel cuore e mi colpisce. Di me non lascia niente, solo una pozza. Probabilmente vivo di questo e per questo. Ci sono momenti in cui abbraccerei tutti, perché ho bisogno di affetto e perché voglio darne. Altre volte, invece, vorrei solo scappare lontano da qualsiasi persona e rinchiudermi in una stanza, senza avere contatti.
Sono strana, ma priva di dolcezza, tenerezza e delicatezza non so se saprei vivere.

domenica 25 ottobre 2015

Assenteismo

Non so cosa pensare,  in questo periodo sembra proprio che il caso, con le sue coincidenze, mi stia perseguitando nuovamente. Una settimana fa ho avuto una discussione che ha avuto un triste epilogo, venerdì è tornata fuori in un dialogo con amici e oggi, durante i primi minuti del telegiornale, e premetto che il Tg non lo guardo MAI, è capitato proprio un servizio speciale che trattava questo argomento.  Che devo pensare alla luce di tutto questo? 😂
Come si evince dal titolo del post, l'argomento che mi sta perseguitando è l'assenteismo. Devo mettere le mani avanti e dire che non lavoro, sono appena entrata in questa giungla e sto ancora cacciando. E per questo mi è stato detto che devo stare zitta, che non lavorando non capisco certe dinamiche.
Forse dovrei veramente tacere, ma non credo sia necessario lavorare per capire e poter affermare che esso è sbagliato. Mi è stato detto che potrà anche essere una cosa disdicevole, però,  visto che gli altri lo fanno, lo si può fare a propria volta.
Mi chiedo perché una cosa sbagliata si propaghi su larga scala tanto rapidamente mentre quelle positive, solitamente almeno, non vengono imitate né riprodotte per analogia. Siamo un branco di scimmie, solo stupide.
Questa casualità mi ha proprio rattristato, anche le parole della giornalista hanno fatto la loro parte: "vogliamo l'onestà e la correttezza, ma le pretendiamo solo dagli altri". O qualcosa di simile, il concetto, il succo, è questo. Ci aspettiamo che gli altri si comportino rettamente, che non vi siano ingiustizie e iniquità,  e poi siamo i primi ad essere scorretti,  perché gli altri sono altrettanto scorretti e quindi va bene, nulla di male, è giusto, addirittura un DIRITTO. Ci si arroga il DIRITTO di avere comportamenti errati perché questi ultimi sono tenuti da terzi. Follia. Ma allora come mai uno non si butta dalla finestra e tutti gli altri lo seguono?? Quanta idiozia in meno, quanto ossigeno risparmiato, quanto spazio guadagnato!
Sono ragionamenti come questi che portano la società alla deriva, allo scatafascio. Bello schifo, Bella merda. Invece di comportarsi bene ed essere da esempio, ognuno fa del proprio meglio per essere peggio degli altri, perché così fan tutti. E questa risulta poi essere la giustizia nella mentalità comune: chi sono io per essere da meno?
Tzè...

venerdì 23 ottobre 2015

la ragazza che rincorreva gli unicorni: intro

Lungo tutta la mia giovane vita, fino ad oggi, ho rincorso vari e molteplici unicorni. Unicorni di varie dimensioni, piccoli e grandi, alcuni anche alati; insomma, erano diversi l'uno dall'altro.
Tutto è cominciato parecchi anni fa, quando ero piccola. La mattina di una giornata di sole avevo  guardato  un episodio del mio cartone preferito in cui compariva un unicorno con le ali, e il pomeriggio sono andata in quello che ora desumo fosse un maneggio dove ho visto tanti, tanti, tanti unicorni. Era stupendo, pensavo di essere approdata in un sogno divenuto realtà, entrata in un mondo magico. Cominciai a correre loro dietro, alla ricerca del magico corno, che avevo capito essere pieno di poteri, e quando finalmente ne raggiunsi uno, amaramente scoprii che sulla sua fronte non svettava alcun corno, e guardandomi in giro mi resi conto che nessuno ne aveva uno, che erano solo semplici cavalli e nulla più. La delusione mi colpì in pieno volto con la potenza di uno schiaffo, quasi un pugno.
Da quel giorno attribuii la figura di unicorno a tutti i sogni, le speranze e le illusioni che facevo e avevo. Li idealizzavo, e ora li definisco, così perché, alla fin fine, erano qualcosa che, col senno di poi, mi sono resa conto essere difficili da raggiungere, che inseguivo vanamente. E dentro di me lo sapevo, ma non volevo accettarlo e continuavo la mia folle corsa, per cercare quanto meno di sfiorare quello che volevo, che desideravo, che bramavo. Per questo corsi molto, fino a perdere il fiato, fino allo stremo delle forze, e talvolta sono pure caduta rovinosamente a terra, fissando la linea dell'orizzonte ove erano spariti.
Di alcuni ho riso e rido tuttora, altri mi hanno fatto così male, li vedevo così reali, così vicini, tanto da quasi toccarli, che quando si sono dissolti davanti ai miei occhi, qualcosa di me è andato in frantumi, perso per sempre. Certi li porto sul volto, negli occhi; mi hanno cambiata, hanno modificato la mia visione delle cose, hanno portato via una parte di me, nel loro galoppare, che mi ha fatto sentire persa, vuota.
Non sono più chi ero prima di iniziare a correre, non sarò più quella che sono ora quando riprenderò la corsa.

giovedì 15 ottobre 2015

lo sgomento di un pomeriggio al doposcuola

Ieri, come ogni giorno, ero al doposcuola di una parrocchia per aiutare i ragazzini di elementari e medie a fare i compiti, e mi è capitato di fare antologia con un ragazzo di seconda media che  non ha voglia di fare niente, e i suoi compari uguale, poco da dire. Ebbene, guarda caso, uno dei testi che doveva leggere era tratto dal Diario di Anna Frank.
Stavamo leggendo l'introduzione, ove veniva spiegato che i Frank erano una famiglia di ebrei che dalla Germania si è dovuta trasferire in Olanda quando Hitler ha emanato le leggi razziali. Stavamo per cominciare il testo quando il ragazzo mi chiede "ma erano ebrei?", io l'ho guardato e faccio "eh si, lo abbiamo appena letto, vivevano in Germania e quando Hitler è diventato cancelliere e quindi ha iniziato ad emanare varie leggi razziali, sono dovuti scappare" dopodiché ha avuto luogo una discussione che ho voluto rimuovere il più possibile per l'orrore e lo sdegno che mi ha causato. Non ricordo esattamente lo svolgersi del dialogo, ma so che uno si è intromesso, da un altro tavolo, dicendo che ero una sfigata perché quel che avevo detto non faceva ridere, io rispondo che il mio obiettivo non era affatto far ridere dal momento che sono morte milioni di persone e il "assistito" risponde accanto a me "ma bon dei, sono solo stati mandati nelle docce". Ed ecco perché sono contraria alle battute in merito a tragedie, forse possono far ridere (neanche tanto), e la mia non è mera bigotteria, ma sminuiscono terribilmente quello è stato tra i maggiori crimini contro l'umanità che hanno mai avuto luogo nella storia. E non posso accettare che la cosa venga ridotta a battute così pessime e di bassa lega come queste, qua non si tratta nemmeno più di rispetto verso di noi che gli aiutiamo, ma di rispetto nel confronto di una popolazione intera, dell'umanità. E più passano gli anni, più vedo che stiamo regredendo in tal senso, e che i ragazzini prendono tutto sotto gamba e sul ridere, cose che invece dovrebbero essere scioccanti. Ma non ne parlano a scuola? Eppure ricordo che quando andavo io alle medie, e non era neanche tanto tempo fa, dal momento che ho 20 anni, abbiamo parlato del giorno della memoria e che cosa si ricordi quel giorno. Giuro che la frase "li hanno solo mandati nelle docce" mi ha fatto accapponare la pelle, mi ha disgustata, avevo quasi il voltastomaco e mi sono ritrovata così a raccontare, insieme a un ragazzo che anche aiuta a dare ripetizioni e che interveniva ogni tanto, una buona parte di quello che accadeva, e che le docce non erano neanche il peggio: che venivano vestiti di soli cenci e zoccoli di legno, che fosse inverno o estate; che veniva loro tolta ogni dignità ed identità con la rasatura del cranio; che erano praticamente lasciati affamati; che erano sfruttati in nome della frase "il lavoro rende liberi"; che venivano messi in fila in cima ad una fossa, legati l'uno all'altro e che poi sparavano al primo della fila, che cadendo trascinava tutti con sé. Forse siamo stati un po' duri e crudi, ma se devi parlare così leggermente ed allegramente di qualcosa, è giusto tu sappia esattamente che cosa stai schernendo. E credo e spero l'abbia capito.
Che rabbia, sono queste cose che mi tolgono ogni speranza nel futuro e nelle generazioni che un giorno verranno a formare la società. Sono ancora senza parole ed allibita.
La persecuzione degli ebrei e la loro fine sono pensieri che mi occupano la mente di tanto in tanto e mi angoscia, perché non mi capacito di come qualcuno, molti a onor del, sia stato così crudele da poter infliggere ad una persona tali atrocità, e mi spaventa. Mi spaventa anche perché questo fatto dovrebbe aver insegnato qualcosa ai posteri per far sì che tali orrori non accadano più, e non solo alcuni ancora non credono sia accaduto sul serio, ma pure ci si scherza sopra! E questo è il terreno migliore per far maturare altre situazioni simili.

Padri e figlie

Caspita, sono indietro giusto di un paio di film nei commenti... parto dall'ultimo che ho visto, quest'oggi, con una mia amica.

Ebbene, approfittando del cinema a 3 euro, ho quasi trascinato una mia amica a vedere un film il cui trailer mi aveva interessato: ed e' cosi' che ho visto "Padri e figlie".
A parte che, non so perche', avevo capito fosse tratto da un libro che aveva il medesimo titolo, ho letto giusto ora delle recensioni che mi hanno lasciata un po' perplessa. Non me ne intendo di film, zero cultura in tal senso, ma non mi sembrava tanto male la trama e la sceneggiatura; e' vero, i passaggi non erano proprio chiari, ma per il resto l'ho trovato abbastanza discreto e carino.

Il film parla del rapporto intenso tra un padre, Jake Davis, e la figlia Katie. Dopo un incidente stradale la moglie muore e Jake, a causa della perdita e anche del trauma cerebrale, inizia ad avere dei problemi psichici e per questo si trova a dover mandare a vivere la figlia dagli zii per 7 mesi mentre lui si trovava in una clinica a curarsi. Apparentemente guarito, esce dalla clinica e va a riprendersi la figlia...Da qua in poi iniziano dei salti tra un periodo e l'altro che possono risultare difficili da seguire, per esempio la mia amica li trovava alquanto incomprensibili... io devo ammettere che solo il primo mi ha lasciata perplessa, quando dopo l'uscita di Jake dalla clinica si passa a 25 anni dopo in cui si vede Katie avere rapporti sessuali con un tizio appena conosciuto e in seguito, proprio quando ci si chiede che fine abbia fatto il padre, lo si vede comparire in un locale mentre aspetta il marito della cognata (ci si illude per un minuto che lui sia ancora vivo) e che gli chiede di lasciar loro adottare la figlia, dicendo che erano passati 2 anni dalla morte della moglie. Dopo questa scena è stato più facile seguire i rimandi tra l'infanzia di Katie col padre e la sua vita adulta. Dopo la perdita del padre, Katie si sente incapace di amare o provare un qualsiasi sentimento per qualcuno, dice di aver amato tantissimo, molto tempo addietro,  una persona e che poi non è più successo. Per questo passa da un ragazzo all'altro senza problemi, considerandoli solo una mera avventura di una notte. Questo finché non incontra  un ragazzo che la avvicina chiendendole se lei fosse "Patatina", ovvero la protagonista dell'ultimo libro scritto dal padre "Fathers and daughters" prima di morire, che apparentemente parla del rapporto tra padre e figlia, ma che in realtà racconta la vita ed è anche il suo addio per lei. Con questo ragazzo, Cameron, intreccia una relazione che finalmente le fa provare qualcosa e quindi la spaventa a morte, portandola a rovinare il rapporto con le sue stesse mani, tradendolo nel loro letto con un ragazzo che ha trovato in un bar. Cameron ovviamente, come avrei fatto io, ha rotto la storia, perché si è sempre sforzato di capirla e venirle incontro, e lei pure gli ha fatto i cornetti, come se il resto non bastasse, così la lascia. Inizialmente lei tenta di tornare al suo stile distruttivo, mentre si scopre, al contempo, tramite i flash, come Jake sia morto... credevo fosse la malattia ad averlo stroncato, invece è stata la causa: mentre era in bagno, la figlia bambina dormiva, ha uno dei suoi soliti attacchi di epilessia, si aggrappa alla tenda della doccia vanamente, scivola trascinando con sé la tenda e va a sbattere la testa contro il termosifone. La scena si interrompe in questo modo, ma lascia intendere che lei, l'indomani, l'abbia trovato morto sul pavimento del bagno. Brividi.
Poi si torna nuovamente al futuro, o presente, lei rinsavisce e va a chiedere scusa a Cameron ma se ne va quando vede che lui ha una donna in casa, così interrompe le spiegazioni e fila via. Girovaga per le strade fino ad arrivare al suo palazzo, e trova lui, e fanno pace.

E' stato un film triste, la mia amica piangeva spesso, io invece arrivavo spesso quasi alle lacrime, tuttavia a me sembrava sempre mancasse un qualcosa alla scena... per quanto la morte del padre mi abbia lasciata a bocca aperta. Anche le scene tra i due amanti erano tenere e toccanti, però è stata la scena finale che mi ha catapultata in una valle di lacrime: lei che arriva davanti al suo portone e lui ad aspettarla, nel silenzio dice "io sono qui" e si abbracciano. Questo ha aperto i miei condotti lacrimali e sarei rimasta a piangere ancora e ancora se le luci della sala non si fossero accese e io e la mia amica non ci fossimo trovate davanti gli sguardi basiti degli altri spettatori. Due signore che sono entrate per vedere lo spettacolo successivo, vedendoci, ci hanno chiesto che film ci fosse fino un momento prima ahahahah siamo filate via

Scusate se ci sono degli sbagli, ma e' difficile districarsi fra i tanti spostamenti temporali e ricordarsi esattamente cosa sia venuto prima e cosa dopo. Comunque è un film che merita di essere visto e mi è piaciuto.

sabato 10 ottobre 2015

solo uno stupido resoconto

Avevo iniziato un post, ma non ero sicura della riuscita dello stesso, per cui ho lasciato momentaneamente perdere e salvato...prossimamente faro' delle modifiche che mi soddisfino e pubblichero'.... seeee ahahahhahah sono esperta nell'arte del rimandare a MAI.

L'apoteosi di questa giornata e' stata raggiunta al mio rientro a casa, quando sono venuta a trovarmi assieme, scesa dal bus, al mio vicino di pianerottolo, un ragazzino delle medie cui faccio ripetizioni, che mi ha detto: ma hai bevuto? Si vede che sei ubriaca. A posto, adesso sono scesa proprio in basso. Neanche mi avesse trovata in stato comatoso e incapace di fare degli scalini, no! Canticchiavo semplicemente tra me e me e lui, ma che diamine?!
E non parliamo del fatto che sono sveglia dalle 6 per fare una fila di due ore per niente, anzi, l'unica cosa che ci ho ricavato e' stato uno sgradevole incontro gia' alle 8 del mattino con una persona che non solo rompeva il cazzo e che la sola vista mi irrita, ma pure voleva ucciderci col suo alito profumato di rose. Non contento ha portato un amico, il cui alito era forse addirittura alle violette! Per non parlare dei dialoghi e degli scontri che son venuti fuori nella seconda ora di attesa; io non posso affrontare gente cosi' beota gia' di primo mattino, mi rovina l'umore. L'unica gioia di questa mattinata e' stata il dolce che ho mangiato, anche se penso lo smaltiro' tra qualche anno.
Pomeriggio bon, ripetizioni, poi giro per citta' che mi ha portata a mangiare un'altra cosa sanissima quale e' la frittella. La mia pigrizia mi ha spinta a fare una strada senza via d'uscita, terminata esattamente davanti una fila di transenne/cheneso alte 2 metri. Mica penserete io sia tornata indietro vero? Con la mia meta oltre l'inferriata? Nossignore, ho scavalcato questa cosa traballante esponendo tutte le mie grazie al vento, tanto. E' stato divertente, senza poi dimenticare la canzoncina che ho canticchiato con davanti un bambino che non aveva neanche 6 anni... ormai mi sono abituata ai figurini fatti con le mie parole. ahahahah
In seguito cena con papino, e poi, sul finire del nostro tempo assieme, siamo venuti a scontrarci con mio fratello, nessuno di quei de se n'è accorto e io faccio: papi guarda chi c'è!
lui: ma chi?
io: ma come???? il fratellino, ci è appena passato accanto!!
A quel punto, scena imparazzante, mio padre ha iniziato ad urlare il suo nome per tutta la via, robe che lo han sentito per tutto il centro città. E quando mio fratello si è girato, aveva una sigaretta in mano. BUAHAHAHAHAH e non è finita qua, una volta rientrato in casa, ha fatto un casino assurdo con le chiavi svegliando mia madre, e mentre lei si alzava, lui mi ha praticamente urlato: eh hai visto che stavo fumando e hai detto a papà che ero lì.
Così anche mamma ha sentito (io non avevo visto che aveva la sigaretta in mano, a meno che non ci mettiamo a tirare in causa Freud, lui potrebbe dire che, a livello incoscio, ho visto che aveva la sigaretta e quindi potrei averlo fatto apposta: ma 1 credevo che anche mio madre lo avesse visto, 2 non avevo notato stesse fumando) e si è arrabbiata HUAHUAHUAHUA

Dal canto mio, sto attuando un piano di totale rincoglionimento al fine di annullare le mie funzioni cerebrali e devo dire che forse pure ci riesco, la lettura degli harmony poi e' letale pe il brandello di cervello di cui sono dotata e dispongo, trattamento mirato lo definirei. E ho la schiena e spalle a pezzi, devo aver tenuto la borsa in spalla almeno 10 ore in tutta la giornata... e io ci metto mattoni dentro.
xoxo ragazzi

lunedì 5 ottobre 2015

Le tombeau des lucioles

Do questo titolo perché l'ho guardato in francese... wow, e dire che io volevo parlare di un film di tutt'altro genere.
Che dire... ho appena finito di guardarlo e mi veniva già da piangere all'inizio, quando è comparso un ragazzino sullo schermo, su sfondo nero, vestito come un soldato, che dice una sola, unica frase prima che cominci il film "la sera del 21 settembre 1945 sono morto". Brividi.
È una storia tristissima, una delle tante che hanno origine con la guerra e che insieme formano la tragedia che essa comporta. Questa ha luogo in Giappone, nel 1945, poco prima della resa del paese, e i protagonisti sono due bambini; la piccola Setsuko di soli 4 anni e Seita, il fratello maggiore, di 14 anni.
Vivevano a Kōbe durante il conflitto insieme alla madre, mentre il padre era via in quanto membro della marina giapponese. Quel giorno i tre si sarebbero stabiliti presso un rifugio e la madre era uscita prima di loro quando, improvvisamente, cominciò a suonare la sirena; il cielo era solcato da aerei nemici e presto piovvero bombe incendiarie sulle case e sugli abitanti indifesi che correvano per le strade. Seita caricò in spalla la sorellina e corse a perdifiato, alla ricerca di un posto sicuro e una volta che l'allarme finì e gli aerei si ritirarono, tornò al villaggio per vedere tutto bruciato. Allora andò in cerca della madre per trovarla in un ospedale improvvisato, irriconoscibile, ustionata e bendata in tutto il corpo. Il giorno dopo venne "gettata" in una fossa insieme agli altri cadaveri.
A Seita e Setsuko non restò altro che andare a vivere con la zia che, se da principio sembrava gentile e disponibile, ben presto li fece sentire un peso "il cibo è per chi lavora" disse un giorno senza mezzi termini, inoltre, il suo attaccamento alla causa imperialistica la rendeva insofferente alla loro "passività" nei confronti della guerra. Così loro ben presto se ne andarono, rifugiandosi in una sorta casa, o covo, abbandonata; i primi tempi andarono anche bene, nonostante le punture degli insetti, ma poi il cibo andò via via scarseggiando. Tanto che la piccola Setsuko si ammalò a causa della denutrizione e il fratello fu costretto a rubare, fin quando non venne colto sul fatto e pestato a sangue, dopodiché passò a rubare quando l'allarme in paese suonava e tutti lasciavano incustodite le loro dimore. Ma la piccola non migliorava, anzi, stava sempre peggio, così si decise a partire per un po' per andare a ritirare dei soldi (ma perché non lo ha fatto prima io mi chiedo?!?!?!?! Non sono certo comparsi all'improvviso!) e lasciò la sorellina al covo, da sola. Mentre era alla banca ebbe la terribile notizia che il Giappone si era arreso, che aveva perso la guerra, e che della marina non restava nulla: suo padre era morto.
Fece ritorno al covo con un'anguria e altro cibo, solo per trovarci Setsuko delirante... una delle scene più strazianti. Quando arrivò, la trovò distesa su un giaciglio, la bambola in grembo e qualcosa in bocca che succhiava: una biglia. Nel momento in cui lui se ne accorse e gliela tolse di bocca, lei prense due sassi che giacevano lì vicino e disse "guarda cosa ho preparato per te: una polpetta di riso.. e anche una schiacciata. Ma perché non le mangi?". Qua mi si è spezzato il cuore... che momento tremendo. Lui le mette in bocca un pezzo di anguria e lei, dopo averlo ingoiato dice che è buono e lo ringrazia per tutto... dopodiché non aprirà più gli occhi, come dirà lui stesso.
Rimasto solo, Seita compra una sorta di cassa al cui interno mette la sorella e la brucia, i resti li mette nella scatola delle caramelle multi-gusto che a lei piacevano tanto.
Non so cosa accade dopo, finisce così... non capisco come sia potuto morire pochi giorni appresso pure lui, in una stazione, appoggiato ad una colonna, tra l'indifferenza o anche la ripugnanza dei passanti, vicino a lui la scatola di bon bon. L'unica spiegazione è che si sia lasciato morire, stremato ormai da quella che non era più definibile vita, ma mera sopravvivenza. Aveva lottato per mesi, per ottenere nulla; aveva perso la madre, il padre e pure la sorella. Penso che chiunque, a quel punto, sarebbe stato stanco, tanto da lasciarsi andare, ormai solo.
Credo ci sia un passaggio che ho perso, perché su internet ho letto una frase in italiano che però son certa di non aver udito nella versione francese, senza poi togliere che ho notato, al termine, una differenza di quasi 10 minuti. La cosa mi dispiace, perché riguardava le lucciole, che hanno accompagnato i due fratelli per buona parte del film, anche sul finale, quando i loro spiriti finalmente si riuniscono e loro guardano la città seduti su una panchina, attorniati da migliaia di lucciole. Devono avere un significato che io mi rammarico di non aver colto...

E' un film toccante e straziante, racconta la guerra, le sue atrocità: parla di quello che porta con sé, solitudine, disperazione, distruzione, fame, povertà e tanta sofferenza. Ti viene il magone, ti senti male a vedere i due fratelli che cercano di sopravvivere attraverso la guerra, quando Seita, che per tutto il tempo cerca di essere forte per la sorellina, si spezza e finisce in lacrime... forse una roccia è tale anche perché si sgretola, chissà.

A novembre sarà per due giorni al cinema, credo meriti vederlo

mercoledì 30 settembre 2015

L'amore... mah!

Fin da piccoli veniamo "bombardati" di film a lieto fine, cominciando coi film disney ad esempio, in cui la giustizia trionfa e finisce sempre bene; ci vengono inculcati ideali quali l'amicizia, la solidarietà, il gioco di squadra e anche l'amore. Sono cose importanti, concetti base per dei bambini, ma finiscono un po' con l'illudere l'infante, che crescerà poi con delle convinzioni errate che una volta entrate iston collisione con la realtà si infrangeranno fino allo sgretolarsi, lasciando solo un senso di amarezza.
Credo si possa dire sia quello che è un po' successo a me, e mi riferisco a quanto concerne l'amore. Quando ero piccola, fino ai miei 12/13 anni, avevo una fiducia cieca nell'amore, convinta fino allo spasimo che esistesse, che fosse il sentimento più grande e forte del mondo, imbattibile, importantissimo, eterno; insomma, credevo nel principe azzurro e nella formula del "per sempre felici e contenti". Beh, sono stata ben presto contraddetta in questa mia idea, l'amore non dura per sempre, e mi chiedo se davvero esista, se tutti lo incontrino nella vita o se è solo per pochi eletti, o addirittura nessuno.
Ci sono così tante idee sull'amore. si crede si manifesti in questo modo piuttosto che quell'altro; c'è chi crede in quello a prima vista e chi pensa nasca col tempo; chi sostiene che in nome dell'amore si debba e possa fare di tutto e chi invece ritiene esso non debba interferire col proprio modo di vivere la vita, gli hobbies, che non debba interferire con le scelte, che non debba limitare la persona nel suo libero arbitrio; chi pensa che duri per sempre e chi invece sostiene che se esso non viene coltivato e curato, appassisce, come una rosa. Ecco cosa intendo: ognuno ha la propria visione dell'amore, le proprie opinioni, ed è per questo che è difficile, se non impossibile, definirlo. Ti fa battere il cuore, ti dà le palpitazioni, ti fa sudare freddo, ti agita, ti fa sentire le farfalle nello stomaco... così tante cose diverse, così tante sensazioni e ognuno ne ha una, o forse anche nessuna.
Si dice che l'amore lo si trovi una volta nella vita e poi mai più, sarà forse per questo che non ci credo poi molto? Mi spiego: mi sembra di aver amato sulle 3 volte nei miei 20 anni, ma forse non ho mai amato veramente. Non credo sia così "facile" trovare l'amore, perderlo, ritrovarlo, riperderlo e via discorrendo, paragonabile al ritmo di uno schiocco di dita. Forse dipende dal fatto che ormai il termine "amore", tralasciando chiaramente l'amore famigliare di cui non sto parlando in questa sede, viene usato per indicare tutta una serie di sentimenti che vanno dal "piacere" (una persona) in su, in crescendo. Il verbo amare viene usato in continuazione, se ne abusa, sembra che il mondo sia pieno d'amore, ma a me questo non risulta proprio, anzi. Lo si coniuga dopo pochissimo tempo e spesso, lo si proferisce senza pensare, quasi fosse la regola dirlo ad un certo punto della storia; vedo e sento ragazzini giurarsi amore eterno, la settimana dopo lasciarsi e il mese seguente stare con qualcun altro e a questo qualcuno dirlo. Non penso proprio sia così, che un amore possa essere sostituito, soprattutto in breve tempo; è un sentimento che quando, per varie ragioni, non può essere espresso o deve essere represso, ti logora dentro, ti dilania, ti fa soffrire e non te lo scrolli di dosso con un'alzata di spalle, come invece sembra trasparire da quello che si vede in giro. Se è davvero così incrollabile e forte come viene fatto vedere, dovrebbe accompagnarti per tutta la vita, senza dare spazio ad un nuovo amore, senza sparire. E mi fa paura vedere come invece l'amore, o quello che tale viene chiamato, sia effimero e fragile... un giorno c'è e quello dopo si è dileguato. O meglio, un giorno una persona ti ama, e quello successivo ti tradisce con qualcun altro, oppure ti lascia perché per te non prova più nulla, o ti sostituisce persona perché, all'improvviso, si scopre essere innamorata di un'altra persona; e tu ti ritrovi a non essere più niente. Di questo ho paura, di credere nelle parole di chi dice di amarmi per poi un giorno sentirmi dire, o addirittura scoprire, che non c'è più niente; questo mi fa male, essere l'oggetto dell'amore di qualcuno e poi non esserlo più. È tutto così instabile, tutto così imprevedibile, quando invece l'amore dovrebbe essere l'unica certezza del mondo.
Ma forse io non ho mai capito niente, forse, ripeto, non ho mai amato davvero: probabilmente sono solo una delle tante persone che si è fatta una sua idea di quello che è l'amore e di come debba essere una relazione. Forse non lo voglio davvero o forse ne ho sola troppa paura... paura di quello che divento quando entro nel giro di giostra che è un rapporto e paura di impegnarmi, metterci il cuore, il corpo e l'anima per ritrovarmi un cuore infranto, un'anima smarrita e una manciata di niente nella mano che pensava di essere serrata su qualcosa di solido e reale.
Dev'essere per questo che da anni, di tanto in tanto, quando mi capita di poter posare le mani su una montagna di libri, mi leggo un harmony dietro l'altro, quasi come una drogata cerca la sua dose. E lu devo leggere tutti, di fila, uno dietro l'altro, e non mi stacco finché non ho letto fino all'ultima pagina dell'ultimo harmony presente in casa, poi cado in smania da altra dose d'amore, fino a quando non mi disintossico visto la loro assenza. Cerco il mio ideale d'amore, quello duraturo, quello stupido delle favole in cui le cose vanno per il meglio ed esso trionfa sempre, corrisposto fino alla sopraggiunta della morte. Di solito finisco un libro, bofonchio un "ma che stronzata" e attacco con un'altra lettura del tutto simile, di cui già sai il lieto fine, e lo stesso non posso farne a meno perché, ogni tanto, ho bisogno di illudermi, di sperare, di credere esiste, di vedere una storia d'amore svolgersi sotto i miei occhi e commuovermi, addolcirmi, sciogliermi in un brodo di giuggiole mentre un "ooooh" mi sfugge dalle labbra.
L'immaginazione a volte è l'unica cosa che ti resta, l'unica che ti salvi.

domenica 27 settembre 2015

non ho neanche un titolo da dare

In questo momento mi viene solo da imprecare contro il mio stupido, inutile stomaco, che mi concede al massimo di essere sulla soglia dell'allegria alcolica e se la supero mi stronca di netto il giorno successivo. Mainagioia.
Dipendesse da me, questi giorni sarei costantemente a bere, bere senza sosta, fino alla perdita totale della ragione; quello che invece posso avere è solo un vago stordimento, per niente soddisfacente.
Questo mi porta a chiedermi se le persone che hanno un certo tipo di vizi, quali alcool, fumo e droga non cerchino l'autodistruzione... forse la cerco pure io? Perché fare una cosa che SAI ti farà male? Evidentemente bisogna essere masochisti per farlo, altrimenti non trovo altre situazioni possibili. E questo discorso può essere fatto anche per altre cose, non per forza i vizi... Anche se devo dire che il mio attaccamento alle storie, che sono evidentemente in zona di nubifragio, e che non riesco a concludere, sia stato definito un vizio... Anche questa una forma di autolesionismo? O puro incaponimento? Non lo so, e forse, ora come ora, non ha nemmeno più importanza trovare una risposta dal momento che non è stato questo il caso... oppure lo era ma si è concluso, per cui non lo è più.
Maledetto stomaco, non sarei qui a pormi certe domande se non fosse per te.
C'è qualcosa in me che puzza? Mah... eppure mi sono annusata le ascelle e non ho sentito nulla...
Scherzi a parte, frase dettami e che, per quanto ne so, potrebbe anche essere veritiera, non so. Ma che importa? Non devo attrarre nessuno per quanto mi riguarda, né tanto meno a questo nessuno interessare, per cui va bene così; anzi, pure meglio. Sono stufa, non voglio nemmeno essere toccata...  che bisogno c'è di toccare una persona? Levatemi le mani di dosso. Posso anche aver bisogno di un abbraccio, anche due o tre, ma non lo voglio.
Ogni tanto la parte più irrazionale del mio cervello mi manda degli impulsi, mi impone di fare o dire qualcosa, ma io mi aggrappo alla parte più razionale di me, l'ultimo briciolo rimastomi, la mia coscienza, e non faccio nulla... nonostante io magari anche lo voglia davvero. Ci sono tante cose che vorrei comunicare o compiere, ma io mi costringo a non farlo... tipo scendere prima del tempo dall'ultimo bus serale... e poi che facevo? O prendere fuori il cellulare e messaggiare... e poi che scrivevo? Barlume di lucidità... ti ringrazio tanto quanto ti odio, mi impedisci di fare cazzate che voglio fare, ma di cui potrei pentirmi... per cui provo delle emozioni contrastanti nei tuoi confronti.
Vorrei davvero dichiararmi sconfitta e relegarmi in un angolino, un telo scuro addosso che mi nasconda, ginocchia strette al petto mentre prego che qualcuno mi faccia sparire, dall'altro lato invece vorrei prendere la rincora e sfondare tutto quello che mi si para davanti, muro dopo muro, persona dopo persona... forse alla ricerca di qualcosa che mi spacchi la testa? O perché voglio sfondare tutti gli ostacoli che ho davanti a me? Peccato che il mio ostacolo più grande sia proprio io e che non possa tirarmi giù da sola... a meno che non ci provi accanendomi contro una delle suddette pareti.
Accidenti che bel discorso sconnesso e privo di senso... avrei voluto non essere in grado nemmeno di star seduta, invece sono pure capace di digitare correttamente lettere pure. Direi che posso chiudere il ritratto della mia instabilità qua.
Che tristezza... e questa stupida canzone non aiuta. Come non aiuta questa stupida mente che insieme alla memoria mi farà impazzire... infami.

mercoledì 23 settembre 2015

Inside out

Ieri sera sono andata a vedere questo film con una mia amica.
Inizialmente pensavamo di aver sbagliato sala (cosa assolutamente impossibile dal momento che quel cinema ha una sola sala AHAHAH) quando sullo schermo, dopo essersi spente le luci, è partito un video di un vulcano solo in mezzo al mare, che guarda gli altri essere viventi vivere in coppia e comincia a cantare chiedendo gli venisse data una compagna. Il tempo passa e lui diventa sempre più triste vedendo il protrarsi della sua solitudine; quello che non sa è che sotto, nelle profondità del mare, c'è un altro vulcano che lo ascolta e comincia a crescere e crescere, mentre lui diventa sempre più piccolo. E' sulla soglia dell'estinzione quando il vulcano femmina fa capolino dal mare in tutta la sua maestosità e inizia a cantare, così lui riprende la voglia di vivere (credo si possa descrivere la cosa così), ritorna agli antichi splendori e possono così passare la vita assieme.
Bene, è tutto molto carino e ora lo trovo tenero, ma sul momento, ieri sera, faceva ridere; e non eravamo nemmeno le uniche presenti in sala a scompisciarci! Per cui non mi ritengo completamente priva di cuore, pur avendo letto di gente che ha pianto davanti a questo corto ahah
Per fortuna poi il film vero e proprio è iniziato!


Il film l'ho trovato molto carino, con scene divertenti alle volte, e altre anche commoventi, come il sacrificio di Bing bong che, per far sì che Gioia e i ricordi di Riley tornassero al quartier generale, ha deciso di restare nella discarica dei ricordi e lasciarsi dimenticare.
Tratta dell'importanza delle emozioni nella vita di una persona, soprattutto durante la sua crescita, e del valore dei ricordi, certi più importanti che determinano la nostra personalità e formano i nostri valori, ed altri che possono anche essere lasciati andare in favore di altri nuovi, che non sono fondamentali per lo sviluppo.
Questi giorni, per svariati e situazioni, sono già stata portata a pensare e ad affrontare la tematica della memoria e dei ricordi; non ci si può ricordare tutto quello che si fa nella vita, è praticamente impossibile. Col passare del tempo le cose diventerebbero troppe e, automaticamente, ci rimangono più impresse quelle che ci hanno colpito di più, quelle che reputiamo più importanti per noi, le cose che ci hanno portato ad essere quello che siamo ora, oggi. Il resto è affidato alle fotografie, a pagine fitte di parole in cui abbiamo scritto quanto ci è accaduto un determinato giorno, ai racconti delle altre persone.
Nel film inoltre, secondo me, appare il messaggio che la gioia è necessaria, ma non è tutto; non dev'esserci solo felicità nella nostra memoria, ma anche altre emozioni, come la tristezza. Sono fondamentali anche i ricordi tristi, sono importanti tanto quanto quelli felici e anzi, spesso essi hanno più facce... magari da un  momento triste perchè, che so,  si è persa la partita, si passa ad uno contento perché si viene acclamati ugualmente dalla squadra. Per cui non bisogna "discriminare" le emozioni, rabbia, disgusto, gioia, paura e tristezza... tutto aiuta a crescere, tutto insegna, l'importante è l'uso che se ne fa e il modo in cui si prende un certo fatto.
In conclusione, lo consiglio, anche se, come anche ho letto su internet, non so quanto possa essere definito un film per bambini, per quanto sia d'animazione; un po' complesso per loro.

Caspita se quella canzoncina non mi è rimasta impressa...
I have a dream
I hope will come true
that you're here with me
and I'm here with
I wish that the earth, sea and the sky up above
will send me someone to lava

domenica 20 settembre 2015

Non sens

Che gioia rincasare mezza ciucca... sperando di non morire domani.
In serata mi è capitato di passare in più posti familiari: prima un locale in cui mi è capitato spesso di andare, poi in un altro altro, dove sono stata una sola volta che io ricordi, a conoscere i compagni di squadra.
Che strano il tempo, ogni tanto sembra scorrere lentissimo, ogni tanto passa un'ora in un battito di ciglia... e così sembra che certe cose siano accadute ieri ed altre secoli fa, una percezione talmente lontana che la cosa sembra non essere accaduta mai, una mera fantasia della psiche provata.
Invece è tutto accaduto, come è accaduto che abbiamo fatto il giro dell'isolato solo perché speravamo una terza persona vedesse... quasi surreale come ricordo, potrebbe essere accaduto in un'altra vita per come lo avverto io. Immaginazione...tutto sembra creato dalla mia mente, alla luce di certe cose, pare non ci sia nulla di reale, niente di veramente successo, tutta fantasia.

mercoledì 16 settembre 2015

i 6 mesi mancati.

Ormai sono una professionista nel concludere le storie con classe, e dire che questa volta pensavo di aver fatto le cose per bene, almeno sul finire, visto che durante non ho fatto esattamente del mio meglio.
Ho riconosciuto tutte le mie colpe, ho chiesto scusa per esse (che per quanto delle semplici scuse possano non essere sufficiente, di più in quel frangente non si poteva fare), ho compreso che non sarei mai stata in grado di soddisfare certe esigente, come non lo sono stata nei mesi mesi precedenti, e me ne sono dispiaciuta. Ho ringraziato per tutto quello che mi era stato dato in quasi sei mesi di relazione, quei 6 mesi non raggiunti, e ho detto che comunque era per lo più colpa mia e che non doveva addossarsi tutte le responsabilità. Ero contenta in un certo senso, contenta di aver chiuso un capitolo in maniera decente, senza rabbia e senza rancore, lieta di poter conservare i bei momenti trascorsi assieme. E invece no, mi è stato strappato tutto, ogni convinzione. Ed avevo solo chiesto un po' di tempo senza sentirsi in modo tale da riuscire a staccarci il minimo necessario per non ricadere nuovamente nella rete di una relazione.
Lui non era soddisfatto, non gli andava bene. D'improvviso si è sentito oltraggiato per il trattamento da me riservatogli, lui che mi ama tanto e io che gli ho spezzato il cuore facendogli capire che non lo avrei mai amato, che non saremmo mai più stati insieme e che pure, ciliegina sulla torta, lo ritenevo un idiota, un povero scemo col quale, tuttavia, sono stata 6 mesi.
A questo punto mi sembra giusto dire che i primi mesi, i primi incontri, ero davvero interessata e presa, parlavamo tranquillamente, avevamo interessi in comune, in particolar modo sono rimasta impressionata dal fatto che anche a lui piacesse la scrittura e che scrivesse poesie che, sebbene non siano la mia passione, non trovavo male. Ero contenta di vederlo, di sentirlo, di passare del tempo con lui discorrendo del più e del meno, aspettavo con ansia un suo messaggio ed ero impaziente di vederlo. Ricordo tutto come fosse ieri, quindi trovo ingiusto essere accusata di averlo preso in giro e che il mio interesse sia durato un mese scarso. Mi sono illusa di aver trovato finalmente la persona giusta, di aver trovato finalmente qualcuno con cui stare bene e mi ci sono messa assieme. Tutto incantevole i primi mesi, ci siamo presentati ai rispettivi amici, stavamo bene, ci vedevamo sotto casa mia. E intanto hanno cominciato a sorgere i primi problemi, tra me che riversavo su di lui il mio malessere e lui che mi tirava dei tiri mancini che non perdonerò né dimenticherò mai.
A partire da quando ho realizzato che non era poi così bravo nella prosa e al suo attacco conseguente quando gliene ho accennato sotto sua richiesta, continuando per le frasi pesanti dove mi ha fatto sentire insignificante ed anche indesiderata, passando per l'uscita dei suoi comportamenti sgradevoli e arrivando a quello che davvero è il suo pensiero. Per sua stessa ammissione, è venuto fuori come io mi sia interessata ad una persona che in realtà non esiste, modellata ad arte per attrarre, la maschera ha iniziato pian piano a fratturarsi, per poi finire in pezzi. E quando è emerso quello che c'è sotto, come ci si poteva aspettare che la mia attrazione per lui rimanesse invariata? Ovviamente ha iniziata a scemare con la maschera....
I primi colpi li ho retti, perché c'era ancora il bene che gli volevo, il bene che provavo nel stare con lui, perché tutto sommato mi sentivo a mio agio. Ma man mano che le cose arrivavano, l'essere a mio agio è mutato in disagio, sfiorando quasi il disgusto. Mi è stato palese che la mia idea di lui era cangiata a tal punto da non essere più una persona con cui mi fosse possibile stare. Il crollo totale è stato dopo un determinato fatto, che mi ha spinto a dubitare veramente della relazione, poi è stata tutta una rovinosa caduta. Posta davanti la scelta, ho deciso di chiudere. Eppure ci tenevo affinché rimanesse qualcosa di buono sul fondo, ho tenuto per me tutte le cose che non mi erano andate bene nel corso dei mesi perché avevo imparato il valore del silenzio in nome di cose che si reputano importanti. Tuttavia il mio essere cattivo, quello che ripudio, mi è stato strappato a forza dalle viscere, il silenzio è divenuto impossibile dinnanzi le ultime parole che mi venivano rivolte. E non tanto perché le ritenessi false o ingiuste, anzi, molte cose le penso pure io. Bensì perché venivano dall'ultima persona che avrebbe dovute dirle, l'ultima al mondo col diritto di parola. Non solo in quanto peggio di me, ma anche perché, durante tutta la storia e anche prima, aveva sostenuto tutto il contrario! Falso fino al midollo insomma, come si può parlare con una persona del genere?!
E io ho lasciato defluire la mia rabbia, la mia cattiveria, come un fiume in piena, che tutto travolge e nulla lascia indietro.
Così è terminata un'altra storia, nel rifiuto, nel disgusto, nell'abnegazione del passato.

domenica 21 giugno 2015

Un breve racconto

Parlando col mio moroso, è venuto fuori che aveva scritto un racconto (andato perso) partendo dall'incipit fornitogli da un sito. Mi sono incuriosita e sono andata a vedere questo incipit; devo dire che l'ho trovato abbastanza "scomodo", per non dir altro, tuttavia mi ci sono voluta cimentare pure io e qui di seguito lo pubblico.... non ne sono troppo convinta, devo dire la verità.


Fissava il foglio bianco dinanzi a sé , mentre, veloci, i pensieri ballavano nella sua testa. Vedeva le immagini prendere corpo per poi, come d’incanto, svanire in un momento, in un battito di ciglia. 
Il tempo passava, ma niente, nulla, non un solo pensiero si era chiarificato, strabuzzava gli occhi cercando di vedere oltre la fitta nebbia in cui era avvolta la sua mente. Vuoto. Stava per chiudere tutto, andare via, si era fatto tardi e cominciava a sentire i morsi della fame. Non aveva pranzato e, ormai, doveva essere ora di cena. Stanca e avvilita, si accingeva a spegnere il computer quando vide una figura venire verso di lei. Si materializzava ad ogni passo, testa alta e espressione fiera “Io sono Claudia” disse “mi stavi aspettando”.
Lei sobbalzò. Chi era questa donna? Sarebbe dovuta essere sola sul piano, tutti gli altri erano già andati via da un pezzo. Indietreggiò sulla poltrona a rotelle "Io non stavo aspettando nessuno, non conosco nessuna Claudia, né conosco te... chi sei?" e la osservò; aveva dei lunghi capelli color platino, mossi in morbide onde, enormi occhi azzurri, penetranti, che davano un senso di freddo lungo la schiena, un'infinità che ti risucchiava ed ingoiava, e un vestito bianco al ginocchio, privo di maniche. La sua prima reazione fu di scappare, ma al contempo si sentì inchiodata alla sedia, di fronte questa donna che di umano aveva ben poco, e altro non poté fare se non rimanere immobile, come in attesa.
"È vero, non ci conosciamo... hai invocato spesso il mio arrivo. Quindi posso dire tu mi stessi aspettando" Okay, questo stava diventando decisamente inquietante, chi era e cosa voleva? Avrebbe voluto alzarsi in piedi, per non sentirsi tanto oppressa dalla sua presenza, ma l'unica cosa che riuscì a fare fu di indietreggiare ancora un po' "Com'è possibile se non so nemmeno chi diamine sei?!". La donna, Claudia, sospirò " Io so quello che ti passa per la testa, quello che desideri, quello che provi... infatti sono venuta a prenderti". Erica a quel punto balzò in piedi, non sembrava affatto un invito a bere qualcosa al bar quello, inoltre, aveva sentito bene? Sosteneva di sapere cosa le frullasse per la testa? Iniziò a tremare "Mi dispiace ma io con te non vengo da nessuna parte... E non è possibile tu sappia queste cose, nessuno legge nella mente... vattene, o chiamo la polizia....". L'altra chiuse gli occhi sospirando nuovamente, si passò una mano fra gli eterei capelli, quasi in contemplazione, e quando risollevò le palpebre posando il suo sguardo in quello di Erica, sembrarono più grandi, le iridi parevano dei vortici che ti trascinano nell'oscurità, i capelli si sparpagliarono tutti intorno alla sua figura, elettrici, mentre sulle spalle si aprivano due grandi, immense ali nere "Io? Io sono la morte."
Le si raggelò il sangue nelle vene "È uno scherzo di pessimo gusto questo...." ma nemmeno lei credeva nelle sue parole, aveva percepito il cambiamento nell'aria e quegli occhi sicuramente non stavano scherzando. Ormai era rasente il muro, più indietro non poteva andare, per scappare sarebbe dovuta passarle accanto, o comunque troppo vicino per i suoi gusti... fosse vero o meno quel che stava affermando, era ugualmente pericoloso ed improponibile avvicinarsi. Non aveva vie di fuga, non poteva che rimanere dove si trovava e vedere cosa sarebbe accaduto. 
La donna, l'angelo, il diavolo, la morte, qualsiasi cosa fosse, fece un passo avanti facendola automaticamente scattare indietro e conseguentemente sbattere la testa contro la parete "Non si tratta di uno scherzo, e sotto sotto te ne sei resa conto pure tu. Tu mi aspetti da tempo immemore ormai, tu ne ne vuoi andare.", Erica deglutì a fatica scuotendo la testa "Non so di cosa tu stia parlando", ma in realtà, fin da quando era bambina, lei.... "Fin da quando eri bambina tu volevi fuggire, sparire. E io sono venuta ad esaudire questo tuo desiderio". Si guardarono in silenzio per qualche secondo; avrebbe voluto ribattere, dire che non era vero, che aveva sbagliato persona, non si trattava di lei, ma era tutto vero, era così ed un nodo alla gola le impediva di negare. Si lasciò scivolare lungo il muro fino a finire seduta per terra, sguardo rivolto ad un punto imprecisato verso il basso "Fin da bambina avrei voluto scappare via dalla casa in cui vivevo, dalle persone che mi circondavano. Mi sentivo una vittima impotente... ". Claudia la guardava " Ti sentivi fuori posto", l'altra rimase in silenzio qualche secondo fissandosi le scarpe e poi rispose "Sì... col tempo ho iniziato a sentirmi fuori posto, inadeguata, sbagliata. Ho cominciato ad avere la sensazione che io non dovessi essere qui, di esserci capitata per errore ed essere costretta a rimanerci contro la mia volontà." mosse il piede quasi a scacciare un insetto, o un ricordo che non voleva rivivere, con cui aveva lottato a lungo perché non le ritornasse alla memoria. La morte interruppe il silenzio "Avevi dei sogni che non hai mai realizzato e ora sei infelice... ti senti incompetente. Vero?". Erica fece un un ghigno ironico "Ne sai di cose su di me..." 
"Te lo avevo detto che so chi sei e che mi stavi aspettando"
"Beh, comincio a crederti... ad ogni modo non sbagli. Mi ricordo che da bambina mi divertivo a mettere le mani nei capelli e fare acconciature, sognavo anche di fare la cantante, diventare una sorta di nuova Laura Pausini... per un po' ho anche immaginato di seguire le orme di mia madre e fare la contabile. Poi non so cosa sia successo, piano piano i miei progetti hanno cominciato a crollare come castelli in aria, ho cominciato a non crederci più." e sollevò gli occhi a guardare Claudia che intanto si era avvicinata, la paura era ormai svanita di fronte ad un sentimento molto più grande ed opprimente: lo sconforto. La creatura si chinò davanti a lei "La tua famiglia non ti ha aiutato..." le venirono le lacrime agli occhi, decisamente non lo avevano fatto "No... mio padre era un alcolizzato violento, che per un nonnulla mi prendeva a schiaffi, mia madre invece era spesso assente e comunque non interveniva mai, quasi indifferente. Sono cresciuta via via sempre più insicura, con la costante paura di sbagliare, con la crescente sensazione di essere un'incapace. Ho cominciato a sognare di andarmene, mi dicevo che al compimento della maggiore età avrei preso la patente e me ne sarei andata via per sempre, scappando il più lontano possibile, senza rivedere mai più i miei genitori. Ma la vita mi ha fatto ben presto capire che non è così facile; sono diventata succube delle mie paure, ho scoperto che i miei piani erano assurdi. Il mio disagio si è trasformato in mal di vivere; per quanto potessi dirmi che la vita è un dono prezioso di cui molti sono privati troppo presto, non potevo impedirmi, la notte, di stare seduta sul mio letto e pregare che qualcuno mi portasse via, che qualcuno mettesse fine a questa mia condizione di sofferenza, che un fulmine entrasse dalla finestra centrandomi in pieno. Sapevo che questo desiderio era sbagliato, mi sentivo in colpa, eppure ogni notte la cosa si ripeteva." cominciò a singhiozzare disperata, si sentiva così stupida, così frustrata, così male al solo ricordare.
"e ora?" le chiese la morte
"Ora faccio un lavoro che non mi soddisfa, il primo che mi sentissi in grado di svolgere nonostante l'inettitudine che mi attribuisco. Non sono contenta, le cose non sono migliorate con gli anni. Pur lavorando, devo comunque restare ad abitare con mio padre, che non fa che ripetermi quanto sono inutile." ormai aveva il volto inondato di lacrime, la vita le era talmente pesante... niente andava per il verso giusto, tutti i sogni si erano rivelate stupide illusioni, le speranze erano andate in frantumi. Era rimasta solo lei, in balia degli eventi, al contempo vittima e carnefice di se stessa. Claudia le posò una pallida e fredda mano sulla guancia "vuoi venire via con me?". L'aria nella stanza era diventata sempre più gelida e solo ora Erica se ne accorgeva, era colpa di Claudia o della finestra che era stata lasciata aperta da qualcuno? Che importanza poteva avere, comunque... la domanda giusta era: andare o non andare? Che aveva da perdere e cosa si lasciava alle spalle? Un lavoro che non le piaceva? Un padre che da piccola la picchiava e ora la faceva sentire un essere privo di scopo?
Si fissarono per qualche tempo mute e poi la morte si alzò in piedi " Se verrai, sappi che non potrai tornare indietro"
Lei era titubante " Farà male? Mi porterai per mano attraverso la luce? Mi farai bruciare con le fiamme dell'inferno?" la donna, l'essere, dai lunghi capelli platino si lasciò sfuggire il primo sorriso da quando era comparsa "Fiamme dell'inferno? Hai letto troppi libri, mi limiterò ad uno schiocco, e tutto sarà finito in un istante"
l'altra era scettica "Solo uno schiocco? E poi più niente?"
"Sì, proprio così. Allora, ci stai?"
Erica si passò una mano sugli occhi umidi ed arrossati e si levò in piedi. Peggio di così non poteva andare lo stesso "Sì" si limitò a dire.
Claudio alzò la mano destra e uno schiocco risuonò nell'aria.


Erica si svegliò di soprassalto. La finestra era aperta e il freddo le fece venire i brividi, di Claudia nemmeno l'ombra. Doveva essere stato solo un sogno. Davanti a lei il computer era andato in stand by e lei lo riavviò; le apparve la schermata bianca di word ed iniziò a scrivere

 《 Fissava il foglio bianco dinanzi a sé , mentre, veloci, i pensieri ballavano nella sua testa....