venerdì 30 ottobre 2015

Amore Impossibile .-*-. song-fic


Mi perdo dentro ai tuoi occhi 

che sorridono, ma ora so 
Siamo qua, seduti su una panchina. E' scesa la sera da ore ed il buio è arrivato con essa; ci vediamo a stento grazie alla scarsa illuminazione stradale e talvolta siamo investiti dal bagliore dei fari delle auto che passano, sempre più rare man mano che il tempo incede. Sta piovendo, ma è una pioggia gentile, ogni goccia risulta essere una carezza sui nostri volti, quasi impercettibile, e noi restiamo fermi dove siamo, a parlare. Abbiamo parlato a lungo. Tanto a lungo che ora è calato il silenzio, l'unico rumore che si sente è quello delle ruote sull'asfalto, della pioggia che cade sulle foglie. La pioggia riempie anche i tuoi occhi, è incastonata tra le tue ciglia, ogni tanto una goccia sfugge e scivola: lungo  l'arco del naso, passando vicino l'angolo della bocca, scorrendo lungo il collo e finendo inevitabilmente assorbita dagli strati di vestiti che ti coprono. Ci guardiamo negli occhi, e io mi perdo nei tuoi che sono resi dei laghi dalle lacrime di cui sono pregni. E' uno scambio di sguardi strano il nostro, che io ricordi, non ce n'è mai stato uno simile fino ad ora. Intenso, molto intenso, ma non riesco ad interpretarlo, non so che cosa sia passato tra noi, non so se fosse la consapevolezza della fine, la delusione, la tristezza, non lo so, e mi fa impazzire, è come se avessi perso qualcosa di importante, di significativo. Mi ha fatto male. E mentre cercavo di capirne il senso, mi sono smarrito nei tuoi occhi, più azzurri che mai, più espressivi che mai, bellissimi.

E' amore impossibile quello che mi chiedi 
sentire ciò che tu sola senti 
e vedere ciò che vedi
 Chiudere la realtà, dentro la tua isola 
Ci siamo resi conto che così non può andare avanti, che non andiamo da nessuna parte di questo passo, che non funziona. Qualcosa ci attrae l'uno verso l'altra e qualcos'altro ci respinge, quasi fossimo delle calamite con entrambi i poli; è evidente che non possiamo stare assieme.
Abbiamo deciso di mollare il colpo, ho provato a continuare, ma sta diventando vano accanimento: mi chiedi e pretendi cose che non riesco a soddisfare, che non posso darti, che non voglio cedere. Ti definirei quasi egoista.
Le nostre opinioni e pensieri sono palesemente divergenti e questo è ormai un problema insormontabile, posso pensare tu abbia ragione, ma non riesco a convenire con quanto dici, non riesco ad adattarmi al tuo raziocinio che cozza incessantemente col mio. Tu vorresti io avessi la stessa tua visione delle cose, che trovo a volte aberrante, e io non posso modificare me stesso per omologarmi a te, per piacerti, non posso più. E tu sei ferma nelle tue convinzioni a cui non vuoi rinunciare. Nessuno fa più un passo verso l'altro, restiamo immobili: è ovvio che insieme non andremo più da nessuna parte, le nostre strade si dividono.
A questo punto dobbiamo farcene una ragione, accettare come stanno le cose e separarci. Per questo siamo qui, nonostante la pioggia, nonostante il freddo, le lacrime e la sofferenza. Ci stiamo per allontanare e stiamo procrastinando quel momento con le parole, con i silenzi, ma non può andare avanti così in eterno. Il tempo a nostra disposizione è ormai giunto al termine, è ora di andare.
Ti stringo forte al petto mentre ti accarezzo delicatamente i capelli, poi ti afferro per le spalle in modo da poterti allontanare da me e poso le mani sulle tue guance, avvolgendoti il viso: sento la pelle fredda sotto le dita che si stanno bagnando delle tue calde lacrime, cerco invano di asciugarle coi pollici, ma sono subito sostituite da delle nuove. Mollo il tuo volto e ti prendo le mani, di ognuna bacio il palmo e infine le mie labbra si posano sulla tua fronte, per quella che credo sia l'ultima volta. Mi viene da piangere, ma ingoio il groppo che ho nella gola, basti tu a piangere per entrambi, è dall'inizio di questo interludio che le lacrime si mescolano alla pioggia. Non vorrei lasciarti andare, non vorrei perdere il contatto fisico con te, ma devo. Sciolgo le mie mani dalle tue che ancora tenevo strette da quando le avevo baciate e mi alzo, tu mi imiti e di slancio mi abbracci; poi ti stacchi, mi guardi un attimo, sussurri un "addio" e te ne vai. Non ti volti. Io fisso la tua schiena che va via via sparendo all'orizzonte, quando non ti vedo più mi concedo di piangere, finalmente.
tempo per noi, si troverà
Chissà se un giorno, lontano, quando sarà passato tanto tempo da dimenticarci delle cose che non andavano e del fallimento, ci sarà nuovamente qualcosa tra noi.


Questa è una song-fic, ovvero una storia, un racconto, costruita attorno ad una canzone. La canzone in questione è Amore Impossibile dei Tiromancino.

martedì 27 ottobre 2015

Mani e labbra, carezze e baci

Ci sono parti in un ragazzo, in un uomo, del fisico, che mi colpiscono e devono piacermi.
Per esempio le mani: io amo le mani e non posso esimermi dal guardarle. E con questo non voglio certo dare ad intendere di avere una strana perversione che le riguardi, no! Non le considero da quel punto di vista.
Non saprei descrivere le mani che mi piacciono, le caratteristiche che devono avere... so solo che non mi piacciono certi tipi di unghie, la pelle avvizzita, dita corte e grassocce. Adoro le mani calde, non troppo callose, pelle abbastanza morbida, una mano grande, dal palmo largo, dita affusolate, e delicate. Questo perché mi piace essere toccata, accarezzata. Il tocco dev'essere soffice, leggero, ma al contempo forte. Voglio sentire tutta la dolcezza possibile tramite un gesto, protratto nel tempo, infinito.
Mi piace sentire come le dita mi scivolino lungo il viso, delineando i tratti. Una carezza, una mano posata sulla guancia. Un "patpat" sulla testa nei momenti di sconforto. Un pollice che scorra sotto l'occhio ad asciugare una lacrima, o un indice che a lato la raccolga. È così bello il contatto del proprio palmo contro quello di una persona a cui tieni, le dita intrecciate, il calore che passa da una pelle all'altra, odori che si mischiano, tracce lasciate come un marchio... purtroppo non indelebile. Sfuma presto; appena le mani si separano, appena le lavi tutto sparisce, come un colpo di spugna su una lavagna. Ma la sensazione, il piacere, quello rimane impresso nella memoria.
Parliamo poi delle labbra? Quelle devono essere ancora più delicate delle mani, devono avere il sapore del miele, la morbidezza e il tocco di una piuma. Di queste credo sia facile dire la caratteristica che apprezzo: carnose. Almeno questo evinco dalle mie esperienze passate. E calde.
Cosa c'è di più meraviglioso di un bacio? Forse solo un diluvio, una cascata di baci! Mi piacciono, tutti! Quelli teneri e impercettibili dati sul volto: sulla fronte in un momento di dolcezza, sugli occhi durante il pianto, sulle guance mentre ci si abbraccia. Anche quelli più "focosi" e appassionati dati sul collo o sulle labbra. Sono tutti belli, tutti ti danno qualcosa, ti passano un sentimento.
Poi adoro quando da un intreccio di mani si passa a baciare il palmo e un dito alla volta, fino a posare le labbra su tutte e cinque, nessuna falangetta lasciata in disparte. È dolcissimo! Quando lo vedo nei film, e soprattutto nei manga, dove si vedono questi momenti di dolcezza smisurata vignetta per vignetta, l'attimo colto così bene, i disegni bellissimi su cui posso rimanere fissa minuti, io mi sciolgo! Mi liquefaccio, a volte anche piango, come una scema.
La dolcezza mi tocca, nel profondo, arriva dritta nel cuore e mi colpisce. Di me non lascia niente, solo una pozza. Probabilmente vivo di questo e per questo. Ci sono momenti in cui abbraccerei tutti, perché ho bisogno di affetto e perché voglio darne. Altre volte, invece, vorrei solo scappare lontano da qualsiasi persona e rinchiudermi in una stanza, senza avere contatti.
Sono strana, ma priva di dolcezza, tenerezza e delicatezza non so se saprei vivere.

domenica 25 ottobre 2015

Assenteismo

Non so cosa pensare,  in questo periodo sembra proprio che il caso, con le sue coincidenze, mi stia perseguitando nuovamente. Una settimana fa ho avuto una discussione che ha avuto un triste epilogo, venerdì è tornata fuori in un dialogo con amici e oggi, durante i primi minuti del telegiornale, e premetto che il Tg non lo guardo MAI, è capitato proprio un servizio speciale che trattava questo argomento.  Che devo pensare alla luce di tutto questo? 😂
Come si evince dal titolo del post, l'argomento che mi sta perseguitando è l'assenteismo. Devo mettere le mani avanti e dire che non lavoro, sono appena entrata in questa giungla e sto ancora cacciando. E per questo mi è stato detto che devo stare zitta, che non lavorando non capisco certe dinamiche.
Forse dovrei veramente tacere, ma non credo sia necessario lavorare per capire e poter affermare che esso è sbagliato. Mi è stato detto che potrà anche essere una cosa disdicevole, però,  visto che gli altri lo fanno, lo si può fare a propria volta.
Mi chiedo perché una cosa sbagliata si propaghi su larga scala tanto rapidamente mentre quelle positive, solitamente almeno, non vengono imitate né riprodotte per analogia. Siamo un branco di scimmie, solo stupide.
Questa casualità mi ha proprio rattristato, anche le parole della giornalista hanno fatto la loro parte: "vogliamo l'onestà e la correttezza, ma le pretendiamo solo dagli altri". O qualcosa di simile, il concetto, il succo, è questo. Ci aspettiamo che gli altri si comportino rettamente, che non vi siano ingiustizie e iniquità,  e poi siamo i primi ad essere scorretti,  perché gli altri sono altrettanto scorretti e quindi va bene, nulla di male, è giusto, addirittura un DIRITTO. Ci si arroga il DIRITTO di avere comportamenti errati perché questi ultimi sono tenuti da terzi. Follia. Ma allora come mai uno non si butta dalla finestra e tutti gli altri lo seguono?? Quanta idiozia in meno, quanto ossigeno risparmiato, quanto spazio guadagnato!
Sono ragionamenti come questi che portano la società alla deriva, allo scatafascio. Bello schifo, Bella merda. Invece di comportarsi bene ed essere da esempio, ognuno fa del proprio meglio per essere peggio degli altri, perché così fan tutti. E questa risulta poi essere la giustizia nella mentalità comune: chi sono io per essere da meno?
Tzè...

venerdì 23 ottobre 2015

la ragazza che rincorreva gli unicorni: intro

Lungo tutta la mia giovane vita, fino ad oggi, ho rincorso vari e molteplici unicorni. Unicorni di varie dimensioni, piccoli e grandi, alcuni anche alati; insomma, erano diversi l'uno dall'altro.
Tutto è cominciato parecchi anni fa, quando ero piccola. La mattina di una giornata di sole avevo  guardato  un episodio del mio cartone preferito in cui compariva un unicorno con le ali, e il pomeriggio sono andata in quello che ora desumo fosse un maneggio dove ho visto tanti, tanti, tanti unicorni. Era stupendo, pensavo di essere approdata in un sogno divenuto realtà, entrata in un mondo magico. Cominciai a correre loro dietro, alla ricerca del magico corno, che avevo capito essere pieno di poteri, e quando finalmente ne raggiunsi uno, amaramente scoprii che sulla sua fronte non svettava alcun corno, e guardandomi in giro mi resi conto che nessuno ne aveva uno, che erano solo semplici cavalli e nulla più. La delusione mi colpì in pieno volto con la potenza di uno schiaffo, quasi un pugno.
Da quel giorno attribuii la figura di unicorno a tutti i sogni, le speranze e le illusioni che facevo e avevo. Li idealizzavo, e ora li definisco, così perché, alla fin fine, erano qualcosa che, col senno di poi, mi sono resa conto essere difficili da raggiungere, che inseguivo vanamente. E dentro di me lo sapevo, ma non volevo accettarlo e continuavo la mia folle corsa, per cercare quanto meno di sfiorare quello che volevo, che desideravo, che bramavo. Per questo corsi molto, fino a perdere il fiato, fino allo stremo delle forze, e talvolta sono pure caduta rovinosamente a terra, fissando la linea dell'orizzonte ove erano spariti.
Di alcuni ho riso e rido tuttora, altri mi hanno fatto così male, li vedevo così reali, così vicini, tanto da quasi toccarli, che quando si sono dissolti davanti ai miei occhi, qualcosa di me è andato in frantumi, perso per sempre. Certi li porto sul volto, negli occhi; mi hanno cambiata, hanno modificato la mia visione delle cose, hanno portato via una parte di me, nel loro galoppare, che mi ha fatto sentire persa, vuota.
Non sono più chi ero prima di iniziare a correre, non sarò più quella che sono ora quando riprenderò la corsa.

giovedì 15 ottobre 2015

lo sgomento di un pomeriggio al doposcuola

Ieri, come ogni giorno, ero al doposcuola di una parrocchia per aiutare i ragazzini di elementari e medie a fare i compiti, e mi è capitato di fare antologia con un ragazzo di seconda media che  non ha voglia di fare niente, e i suoi compari uguale, poco da dire. Ebbene, guarda caso, uno dei testi che doveva leggere era tratto dal Diario di Anna Frank.
Stavamo leggendo l'introduzione, ove veniva spiegato che i Frank erano una famiglia di ebrei che dalla Germania si è dovuta trasferire in Olanda quando Hitler ha emanato le leggi razziali. Stavamo per cominciare il testo quando il ragazzo mi chiede "ma erano ebrei?", io l'ho guardato e faccio "eh si, lo abbiamo appena letto, vivevano in Germania e quando Hitler è diventato cancelliere e quindi ha iniziato ad emanare varie leggi razziali, sono dovuti scappare" dopodiché ha avuto luogo una discussione che ho voluto rimuovere il più possibile per l'orrore e lo sdegno che mi ha causato. Non ricordo esattamente lo svolgersi del dialogo, ma so che uno si è intromesso, da un altro tavolo, dicendo che ero una sfigata perché quel che avevo detto non faceva ridere, io rispondo che il mio obiettivo non era affatto far ridere dal momento che sono morte milioni di persone e il "assistito" risponde accanto a me "ma bon dei, sono solo stati mandati nelle docce". Ed ecco perché sono contraria alle battute in merito a tragedie, forse possono far ridere (neanche tanto), e la mia non è mera bigotteria, ma sminuiscono terribilmente quello è stato tra i maggiori crimini contro l'umanità che hanno mai avuto luogo nella storia. E non posso accettare che la cosa venga ridotta a battute così pessime e di bassa lega come queste, qua non si tratta nemmeno più di rispetto verso di noi che gli aiutiamo, ma di rispetto nel confronto di una popolazione intera, dell'umanità. E più passano gli anni, più vedo che stiamo regredendo in tal senso, e che i ragazzini prendono tutto sotto gamba e sul ridere, cose che invece dovrebbero essere scioccanti. Ma non ne parlano a scuola? Eppure ricordo che quando andavo io alle medie, e non era neanche tanto tempo fa, dal momento che ho 20 anni, abbiamo parlato del giorno della memoria e che cosa si ricordi quel giorno. Giuro che la frase "li hanno solo mandati nelle docce" mi ha fatto accapponare la pelle, mi ha disgustata, avevo quasi il voltastomaco e mi sono ritrovata così a raccontare, insieme a un ragazzo che anche aiuta a dare ripetizioni e che interveniva ogni tanto, una buona parte di quello che accadeva, e che le docce non erano neanche il peggio: che venivano vestiti di soli cenci e zoccoli di legno, che fosse inverno o estate; che veniva loro tolta ogni dignità ed identità con la rasatura del cranio; che erano praticamente lasciati affamati; che erano sfruttati in nome della frase "il lavoro rende liberi"; che venivano messi in fila in cima ad una fossa, legati l'uno all'altro e che poi sparavano al primo della fila, che cadendo trascinava tutti con sé. Forse siamo stati un po' duri e crudi, ma se devi parlare così leggermente ed allegramente di qualcosa, è giusto tu sappia esattamente che cosa stai schernendo. E credo e spero l'abbia capito.
Che rabbia, sono queste cose che mi tolgono ogni speranza nel futuro e nelle generazioni che un giorno verranno a formare la società. Sono ancora senza parole ed allibita.
La persecuzione degli ebrei e la loro fine sono pensieri che mi occupano la mente di tanto in tanto e mi angoscia, perché non mi capacito di come qualcuno, molti a onor del, sia stato così crudele da poter infliggere ad una persona tali atrocità, e mi spaventa. Mi spaventa anche perché questo fatto dovrebbe aver insegnato qualcosa ai posteri per far sì che tali orrori non accadano più, e non solo alcuni ancora non credono sia accaduto sul serio, ma pure ci si scherza sopra! E questo è il terreno migliore per far maturare altre situazioni simili.

Padri e figlie

Caspita, sono indietro giusto di un paio di film nei commenti... parto dall'ultimo che ho visto, quest'oggi, con una mia amica.

Ebbene, approfittando del cinema a 3 euro, ho quasi trascinato una mia amica a vedere un film il cui trailer mi aveva interessato: ed e' cosi' che ho visto "Padri e figlie".
A parte che, non so perche', avevo capito fosse tratto da un libro che aveva il medesimo titolo, ho letto giusto ora delle recensioni che mi hanno lasciata un po' perplessa. Non me ne intendo di film, zero cultura in tal senso, ma non mi sembrava tanto male la trama e la sceneggiatura; e' vero, i passaggi non erano proprio chiari, ma per il resto l'ho trovato abbastanza discreto e carino.

Il film parla del rapporto intenso tra un padre, Jake Davis, e la figlia Katie. Dopo un incidente stradale la moglie muore e Jake, a causa della perdita e anche del trauma cerebrale, inizia ad avere dei problemi psichici e per questo si trova a dover mandare a vivere la figlia dagli zii per 7 mesi mentre lui si trovava in una clinica a curarsi. Apparentemente guarito, esce dalla clinica e va a riprendersi la figlia...Da qua in poi iniziano dei salti tra un periodo e l'altro che possono risultare difficili da seguire, per esempio la mia amica li trovava alquanto incomprensibili... io devo ammettere che solo il primo mi ha lasciata perplessa, quando dopo l'uscita di Jake dalla clinica si passa a 25 anni dopo in cui si vede Katie avere rapporti sessuali con un tizio appena conosciuto e in seguito, proprio quando ci si chiede che fine abbia fatto il padre, lo si vede comparire in un locale mentre aspetta il marito della cognata (ci si illude per un minuto che lui sia ancora vivo) e che gli chiede di lasciar loro adottare la figlia, dicendo che erano passati 2 anni dalla morte della moglie. Dopo questa scena è stato più facile seguire i rimandi tra l'infanzia di Katie col padre e la sua vita adulta. Dopo la perdita del padre, Katie si sente incapace di amare o provare un qualsiasi sentimento per qualcuno, dice di aver amato tantissimo, molto tempo addietro,  una persona e che poi non è più successo. Per questo passa da un ragazzo all'altro senza problemi, considerandoli solo una mera avventura di una notte. Questo finché non incontra  un ragazzo che la avvicina chiendendole se lei fosse "Patatina", ovvero la protagonista dell'ultimo libro scritto dal padre "Fathers and daughters" prima di morire, che apparentemente parla del rapporto tra padre e figlia, ma che in realtà racconta la vita ed è anche il suo addio per lei. Con questo ragazzo, Cameron, intreccia una relazione che finalmente le fa provare qualcosa e quindi la spaventa a morte, portandola a rovinare il rapporto con le sue stesse mani, tradendolo nel loro letto con un ragazzo che ha trovato in un bar. Cameron ovviamente, come avrei fatto io, ha rotto la storia, perché si è sempre sforzato di capirla e venirle incontro, e lei pure gli ha fatto i cornetti, come se il resto non bastasse, così la lascia. Inizialmente lei tenta di tornare al suo stile distruttivo, mentre si scopre, al contempo, tramite i flash, come Jake sia morto... credevo fosse la malattia ad averlo stroncato, invece è stata la causa: mentre era in bagno, la figlia bambina dormiva, ha uno dei suoi soliti attacchi di epilessia, si aggrappa alla tenda della doccia vanamente, scivola trascinando con sé la tenda e va a sbattere la testa contro il termosifone. La scena si interrompe in questo modo, ma lascia intendere che lei, l'indomani, l'abbia trovato morto sul pavimento del bagno. Brividi.
Poi si torna nuovamente al futuro, o presente, lei rinsavisce e va a chiedere scusa a Cameron ma se ne va quando vede che lui ha una donna in casa, così interrompe le spiegazioni e fila via. Girovaga per le strade fino ad arrivare al suo palazzo, e trova lui, e fanno pace.

E' stato un film triste, la mia amica piangeva spesso, io invece arrivavo spesso quasi alle lacrime, tuttavia a me sembrava sempre mancasse un qualcosa alla scena... per quanto la morte del padre mi abbia lasciata a bocca aperta. Anche le scene tra i due amanti erano tenere e toccanti, però è stata la scena finale che mi ha catapultata in una valle di lacrime: lei che arriva davanti al suo portone e lui ad aspettarla, nel silenzio dice "io sono qui" e si abbracciano. Questo ha aperto i miei condotti lacrimali e sarei rimasta a piangere ancora e ancora se le luci della sala non si fossero accese e io e la mia amica non ci fossimo trovate davanti gli sguardi basiti degli altri spettatori. Due signore che sono entrate per vedere lo spettacolo successivo, vedendoci, ci hanno chiesto che film ci fosse fino un momento prima ahahahah siamo filate via

Scusate se ci sono degli sbagli, ma e' difficile districarsi fra i tanti spostamenti temporali e ricordarsi esattamente cosa sia venuto prima e cosa dopo. Comunque è un film che merita di essere visto e mi è piaciuto.

sabato 10 ottobre 2015

solo uno stupido resoconto

Avevo iniziato un post, ma non ero sicura della riuscita dello stesso, per cui ho lasciato momentaneamente perdere e salvato...prossimamente faro' delle modifiche che mi soddisfino e pubblichero'.... seeee ahahahhahah sono esperta nell'arte del rimandare a MAI.

L'apoteosi di questa giornata e' stata raggiunta al mio rientro a casa, quando sono venuta a trovarmi assieme, scesa dal bus, al mio vicino di pianerottolo, un ragazzino delle medie cui faccio ripetizioni, che mi ha detto: ma hai bevuto? Si vede che sei ubriaca. A posto, adesso sono scesa proprio in basso. Neanche mi avesse trovata in stato comatoso e incapace di fare degli scalini, no! Canticchiavo semplicemente tra me e me e lui, ma che diamine?!
E non parliamo del fatto che sono sveglia dalle 6 per fare una fila di due ore per niente, anzi, l'unica cosa che ci ho ricavato e' stato uno sgradevole incontro gia' alle 8 del mattino con una persona che non solo rompeva il cazzo e che la sola vista mi irrita, ma pure voleva ucciderci col suo alito profumato di rose. Non contento ha portato un amico, il cui alito era forse addirittura alle violette! Per non parlare dei dialoghi e degli scontri che son venuti fuori nella seconda ora di attesa; io non posso affrontare gente cosi' beota gia' di primo mattino, mi rovina l'umore. L'unica gioia di questa mattinata e' stata il dolce che ho mangiato, anche se penso lo smaltiro' tra qualche anno.
Pomeriggio bon, ripetizioni, poi giro per citta' che mi ha portata a mangiare un'altra cosa sanissima quale e' la frittella. La mia pigrizia mi ha spinta a fare una strada senza via d'uscita, terminata esattamente davanti una fila di transenne/cheneso alte 2 metri. Mica penserete io sia tornata indietro vero? Con la mia meta oltre l'inferriata? Nossignore, ho scavalcato questa cosa traballante esponendo tutte le mie grazie al vento, tanto. E' stato divertente, senza poi dimenticare la canzoncina che ho canticchiato con davanti un bambino che non aveva neanche 6 anni... ormai mi sono abituata ai figurini fatti con le mie parole. ahahahah
In seguito cena con papino, e poi, sul finire del nostro tempo assieme, siamo venuti a scontrarci con mio fratello, nessuno di quei de se n'è accorto e io faccio: papi guarda chi c'è!
lui: ma chi?
io: ma come???? il fratellino, ci è appena passato accanto!!
A quel punto, scena imparazzante, mio padre ha iniziato ad urlare il suo nome per tutta la via, robe che lo han sentito per tutto il centro città. E quando mio fratello si è girato, aveva una sigaretta in mano. BUAHAHAHAHAH e non è finita qua, una volta rientrato in casa, ha fatto un casino assurdo con le chiavi svegliando mia madre, e mentre lei si alzava, lui mi ha praticamente urlato: eh hai visto che stavo fumando e hai detto a papà che ero lì.
Così anche mamma ha sentito (io non avevo visto che aveva la sigaretta in mano, a meno che non ci mettiamo a tirare in causa Freud, lui potrebbe dire che, a livello incoscio, ho visto che aveva la sigaretta e quindi potrei averlo fatto apposta: ma 1 credevo che anche mio madre lo avesse visto, 2 non avevo notato stesse fumando) e si è arrabbiata HUAHUAHUAHUA

Dal canto mio, sto attuando un piano di totale rincoglionimento al fine di annullare le mie funzioni cerebrali e devo dire che forse pure ci riesco, la lettura degli harmony poi e' letale pe il brandello di cervello di cui sono dotata e dispongo, trattamento mirato lo definirei. E ho la schiena e spalle a pezzi, devo aver tenuto la borsa in spalla almeno 10 ore in tutta la giornata... e io ci metto mattoni dentro.
xoxo ragazzi

lunedì 5 ottobre 2015

Le tombeau des lucioles

Do questo titolo perché l'ho guardato in francese... wow, e dire che io volevo parlare di un film di tutt'altro genere.
Che dire... ho appena finito di guardarlo e mi veniva già da piangere all'inizio, quando è comparso un ragazzino sullo schermo, su sfondo nero, vestito come un soldato, che dice una sola, unica frase prima che cominci il film "la sera del 21 settembre 1945 sono morto". Brividi.
È una storia tristissima, una delle tante che hanno origine con la guerra e che insieme formano la tragedia che essa comporta. Questa ha luogo in Giappone, nel 1945, poco prima della resa del paese, e i protagonisti sono due bambini; la piccola Setsuko di soli 4 anni e Seita, il fratello maggiore, di 14 anni.
Vivevano a Kōbe durante il conflitto insieme alla madre, mentre il padre era via in quanto membro della marina giapponese. Quel giorno i tre si sarebbero stabiliti presso un rifugio e la madre era uscita prima di loro quando, improvvisamente, cominciò a suonare la sirena; il cielo era solcato da aerei nemici e presto piovvero bombe incendiarie sulle case e sugli abitanti indifesi che correvano per le strade. Seita caricò in spalla la sorellina e corse a perdifiato, alla ricerca di un posto sicuro e una volta che l'allarme finì e gli aerei si ritirarono, tornò al villaggio per vedere tutto bruciato. Allora andò in cerca della madre per trovarla in un ospedale improvvisato, irriconoscibile, ustionata e bendata in tutto il corpo. Il giorno dopo venne "gettata" in una fossa insieme agli altri cadaveri.
A Seita e Setsuko non restò altro che andare a vivere con la zia che, se da principio sembrava gentile e disponibile, ben presto li fece sentire un peso "il cibo è per chi lavora" disse un giorno senza mezzi termini, inoltre, il suo attaccamento alla causa imperialistica la rendeva insofferente alla loro "passività" nei confronti della guerra. Così loro ben presto se ne andarono, rifugiandosi in una sorta casa, o covo, abbandonata; i primi tempi andarono anche bene, nonostante le punture degli insetti, ma poi il cibo andò via via scarseggiando. Tanto che la piccola Setsuko si ammalò a causa della denutrizione e il fratello fu costretto a rubare, fin quando non venne colto sul fatto e pestato a sangue, dopodiché passò a rubare quando l'allarme in paese suonava e tutti lasciavano incustodite le loro dimore. Ma la piccola non migliorava, anzi, stava sempre peggio, così si decise a partire per un po' per andare a ritirare dei soldi (ma perché non lo ha fatto prima io mi chiedo?!?!?!?! Non sono certo comparsi all'improvviso!) e lasciò la sorellina al covo, da sola. Mentre era alla banca ebbe la terribile notizia che il Giappone si era arreso, che aveva perso la guerra, e che della marina non restava nulla: suo padre era morto.
Fece ritorno al covo con un'anguria e altro cibo, solo per trovarci Setsuko delirante... una delle scene più strazianti. Quando arrivò, la trovò distesa su un giaciglio, la bambola in grembo e qualcosa in bocca che succhiava: una biglia. Nel momento in cui lui se ne accorse e gliela tolse di bocca, lei prense due sassi che giacevano lì vicino e disse "guarda cosa ho preparato per te: una polpetta di riso.. e anche una schiacciata. Ma perché non le mangi?". Qua mi si è spezzato il cuore... che momento tremendo. Lui le mette in bocca un pezzo di anguria e lei, dopo averlo ingoiato dice che è buono e lo ringrazia per tutto... dopodiché non aprirà più gli occhi, come dirà lui stesso.
Rimasto solo, Seita compra una sorta di cassa al cui interno mette la sorella e la brucia, i resti li mette nella scatola delle caramelle multi-gusto che a lei piacevano tanto.
Non so cosa accade dopo, finisce così... non capisco come sia potuto morire pochi giorni appresso pure lui, in una stazione, appoggiato ad una colonna, tra l'indifferenza o anche la ripugnanza dei passanti, vicino a lui la scatola di bon bon. L'unica spiegazione è che si sia lasciato morire, stremato ormai da quella che non era più definibile vita, ma mera sopravvivenza. Aveva lottato per mesi, per ottenere nulla; aveva perso la madre, il padre e pure la sorella. Penso che chiunque, a quel punto, sarebbe stato stanco, tanto da lasciarsi andare, ormai solo.
Credo ci sia un passaggio che ho perso, perché su internet ho letto una frase in italiano che però son certa di non aver udito nella versione francese, senza poi togliere che ho notato, al termine, una differenza di quasi 10 minuti. La cosa mi dispiace, perché riguardava le lucciole, che hanno accompagnato i due fratelli per buona parte del film, anche sul finale, quando i loro spiriti finalmente si riuniscono e loro guardano la città seduti su una panchina, attorniati da migliaia di lucciole. Devono avere un significato che io mi rammarico di non aver colto...

E' un film toccante e straziante, racconta la guerra, le sue atrocità: parla di quello che porta con sé, solitudine, disperazione, distruzione, fame, povertà e tanta sofferenza. Ti viene il magone, ti senti male a vedere i due fratelli che cercano di sopravvivere attraverso la guerra, quando Seita, che per tutto il tempo cerca di essere forte per la sorellina, si spezza e finisce in lacrime... forse una roccia è tale anche perché si sgretola, chissà.

A novembre sarà per due giorni al cinema, credo meriti vederlo