giovedì 12 marzo 2015

Argo e il suo padrone

Oggi ho letto "Argo e il suo padrone" di Italo Svevo, un racconto che mi interessava leggere da un po' causa tutte le citazioni che avevo letto tratte proprio da esso.
Parla di un signore che, per problemi di salute, era stato mandato in montagna dal medico e ha la sola compagnia di una vecchia balia e del suo cane da caccia, per l'appunto Argo. Un giorno, preso dalla noia di una serata d'inverno, lesse sul giornale di un cane in Germania che era in grado di discorrere coi propri padroni e così passò mesi a cercare di far parlare Argo, senza riuscirvi mai, avvenne piuttosto il contrario: fu lui a iniziare a capire il proprio cane. Non faceva discorsi chiari ed il padrone dovette darsi molto all'interpretazione e, una volta morto, ne trascrisse i dialoghi colmando, qua e là con le parole, le mancanze linguistiche del cane.
Io mi sento un po' come Argo, a volte non so cosa aspettarmi, a volte le circostanze danno da pensare a qualcosa e poi i fatti portano tutt'altro, e ciò mi confonde, mi fa battere in ritirata, ritrarmi, proprio come lui; si avvicinava al padrone vedendolo felice ed aspettandosi delle coccole, e poi invece veniva accolto da una pedata.
Un'altra punto che mi ha colpito è quello che penso potremmo definire il capitolo X. Troviamo Argo legato alla catena fuori casa, mentre il padrone e la balia mangiavano. Come unico passatempo, ad un dato momento, gli capita una scarpa il cui odore gli pare nemico, e così l'addenta e la sbrana finché non sente cambiarne l'odore, a quel punto la tratta da amica, solo che in un eccesso di... familiarità (non so davvero come definire la cosa) le dà un colpo che l'allontana di molto da lui, facendola divenire irraggiungibile. Ora Argo torna di nuovo solo alle sue riflessioni, fino al momento in cui la balia non esce a liberarlo dalla catena e lui può correre in giro dietro agli odori e profumi più svariati, dimenticando la scarpa fino al momento in cui non viene nuovamente legato. A quel punto allora ricorda la scarpa e si rammarica di non averla avvicinata per il momento in cui fosse stato di nuovo solo, costretto all'inerzia, tuttavia pensò "Ma pensare alla catena quando si è liberi sarebbe come diminuire la grande gioia della libertà". Frase magnifica e vera.
Così faccio un po' anche io; quando sono sola, rifletto, penso, analizzo. Rimugino sulle cose, vedo i problemi (o anche li immagino eh) e non posso fare che crucciarmi, dicendomi che alla prima opportunità devo assolutamente fare chiarezza, risolvere. Poi ne ho l'occasione, esco dal mio angolo, e puntualmente dimentico tutte le mie riflessioni ed interrogativi. Poi torno a rinchiudermi e tutto ritorna in mente, più forte di prima.
Con questo intendo soprattutto problemi di genere relazionale con una persona. Ho delle incertezze che vorrei dissipare, mi vedo con la persona e poi lascio tutto da parte, dimentica di quello che fino ad un attimo prima abbisognavo, a volte anche per paura o per non voler rovinare la bella atmosfera. Il punto è che poi non ho concluso niente, un paio di ore di serenità per poi ripiombare, una volta separatami dalla persona, nel mio stato di inquietudine. E mi percuoto mentalmente per la stupidità dimostrata.

Svevo, quello che di te più ho apprezzato è il romanzo "La coscienza di Zeno", questi racconti spesso sono interrotti oppure non ne colgo appieno (anche affatto) il significato...
Tipo il Dottor Menghi... Accidenti, ha inventato l'anti-alcole, in parole pratiche "l'elisir di lunga vita", allora di che diamine è morto??? Me lo chiedo da giorni, non vogliono saperlo solo gli altri personaggi del racconto... >.<

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